Vena del Gesso, il ritorno del gatto selvatico, avvistamento "straordinario"
Sandro Bassi - Pelo ispido, pelliccia grigia e striata, dimensioni leggermente maggiori (soprattutto aspetto più robusto) rispetto al gatto domestico, folta coda con quattro o cinque anelli neri e punta sempre nera: è il mitico gatto selvatico (Felis silvestris) che, come si vede, non è facilmente distinguibile dal gatto domestico di cui è parente; quest’ultimo deriva dal Felis lybicus, «cugino» originario della Mezzaluna Fertile (la fascia medio-orientale famosa per esser stata la culla dell’agricoltura, circa 10mila anni fa) addomesticato per la sua abilità nel cacciare i topi, temibili per la loro capacità di distruggere intere riserve di cereali. Se il gatto domestico è il risultato di ripetute ibridazioni e selezioni operate dall’uomo, quello selvatico è invece ancora come la natura l’ha voluto e ai caratteri morfologici sopracitati vanno aggiunti quelli ecologici: elusivo, notturno e abitatore di ambienti selvaggi al punto da passare inosservato anche dove invece c’è da sempre.
Ecco perché si fa fatica a dire «è ricomparso il gatto selvatico»: forse c’era anche prima, forse non si è mai estinto, è l’uomo ad avere oggi qualche strumento in più per appurarne la presenza. Tale strumento è la fototrappola, cioè la macchina fotografica che scatta su impulso di un sensore di movimento e che quindi riprende tutto, dall’ormai infestante cinghiale fino appunto al rarissimo gatto selvatico, incredibilmente fotografato già dodici anni fa nell’alto Appennino forlivese dove peraltro il manto forestale continuo (soprattutto con le grandi Foreste Casentinesi) e la morfologia più impervia rispetto al ravennate ha forse garantito semplicemente maggiori probabilità di nascondiglio.
«Fatto sta – spiega Massimiliano Costa, direttore del Parco regionale Vena del Gesso romagnola – che con le fototrappole il gatto è stato ripreso anche da noi: prima presso Monte Penzola, nell’imolese, e in zona Rio Basino, nel casolano-riolese, poi, ultimamente, in località che è meglio non rivelare con precisione per ragioni protezionistiche ma che ricadono comunque nella Vena, dove la presenza di ambienti poco disturbati facilita evidentemente la sua sopravvivenza».
Difficilissimo da osservare, il nostro scontroso felino si rifugia in tane abbandonate di volpe, tasso o istrice, oppure in cavità di vecchi alberi (sia tronchi che ceppaie), oppure ancora in anfratti rocciosi. Ha territori di caccia molto ampi, da 2 a 9 km quadrati - ma anche di più - in relazione alla disponibilità di prede: topi e altri micromammiferi, fino al coniglio selvatico, uccelletti, rettili, anfibi e anche invertebrati. E’ protetto in tutta Italia fin dal 1977 mentre prima era addirittura considerato «nocivo» in base ad un Regio Decreto del 1939 per via della sua capacità di predare specie cacciabili e assai appetibili per l’uomo.