Romagna, per non dimenticare la Shoah, l'intervento di Masetti: "Il consumo della memoria"

Romagna | 27 Gennaio 2021 Cronaca
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Giuseppe Masetti*
Lo scorso 9 ottobre Liliana Segre, benché ancora lucida e sempre efficace, ci ha detto che sarebbe stata l’ultima volta in cui parlava in pubblico della sua esperienza di deportata ad Auschwitz, di «ragazzina schiava» come lei ama definirsi; il 19 dicembre scorso ci ha lasciati Nedo Fiano, altra potente voce di quel vissuto, mentre nel dicembre del 2019 era mancato Piero Terracina. La cosiddetta era del testimone sta lentamente tramontando. 
Oggi sono rimasti solo una decina i sopravvissuti italiani della Shoah, diretti portatori dell’indicibile orrore conosciuto nel 1944 e ‘45, stanchi di raccontare per l’ennesima volta le loro storie davanti a grandi platee di studenti o esibiti come fenomeni nei talk show televisivi. Ma davvero è necessario il Delivery della Memoria? Davvero ci interessiamo a questa storia solo se ci viene servita fino a casa, in prima serata, la narrazione televisiva di quella tragedia ad opera dei sopravvissuti, per scuotere il nostro interesse, per crederla e formare le nostre coscienze (parlo agli adulti) sul più grande crimine della storia europea? Non dovrebbe essere compito/dovere di ogni cittadino arrivare alla maturità, al diritto di voto, incontrando nel percorso degli studi dell’obbligo le pagine idonee a comprendere bene quella terribile sequenza riassunta nelle parole «giudicare/discriminare/sopprimere», che poi si traducono nel postulato: «Voi non siete come noi, voi non potete vivere in mezzo a noi, voi non potete più vivere!». La drammatica esperienza dei campi di concentramento o di sterminio è davvero credibile solamente se ce la racconta, per l’ennesima volta, un testimone sopravvissuto, oramai avanti con gli anni? La Shoah è la categoria che (tra narrativa e saggistica) conta ogni anno il maggior numero di nuove pubblicazioni a stampa. Ad ogni inverno escono un paio di film e di documentari a tema, i giornalisti ad ogni 27 gennaio si affannano a trovare una nuova vicenda inedita, di vittime o di salvatori. Il web è pieno di interviste a deportati politici ed ebrei, eppure... 
Statistiche attendibili ci dicono che in Italia esiste oggi una percentuale di adulti, stimata nell’ordine del 15%, disposta a negare l’esistenza di quella tragica realtà, più altri che ne vorrebbero ridimensionare di molto la portata numerica. E ogni anno dobbiamo anche assistere agli oltraggi vandalici ai cimiteri ebraici, alle pietre d’inciampo, alle abitazioni di persone ritenute di religione o discendenza ebraica. In una scuola di Faenza mi è capitato lo scorso anno di sentire dall’insegnante che i genitori di un’alunna l’avevano trattenuta a casa la mattina in cui si sarebbe parlato in classe della Shoah, perché tanto sono tutte fandonie.
Ci sono i negazionisti, quelli che non vogliono saperne nulla, e quelli che la riconoscono, ma preferiscono non pensarci e cambiare canale. E’ talmente impegnativo e doloroso l’approccio a questo tema che molti rifiutano qualsiasi riflessione in proposito, non perché temano che ne derivi un senso di colpa, ma forse perché avvertono inconsapevolmente la modernità di quella tragedia, resa possibile da una indifferenza che è molto simile a quella dei giorni nostri.
Il giovane direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau, Piotr M. A. Cywiński ha scritto recentemente che la domanda più ricorrente che si sente rivolgere è: «Come si è potuto lasciare che ciò accadesse? Perché nessuna autorità ha preso posizione decisa sulla questione? Perché i bombardieri alleati (non solo quelli americani, ma anche quelli sovietici) non hanno distrutto le camere a gas?». La risposta è spiacevole perché mostra anche oggi tutta l’indifferenza umana. «Anche oggi osserviamo persone morire sullo schermo televisivo, attraverso le immagini satellitari, vediamo le fosse preparate per i loro corpi... possiamo volare là, in Darfur, in Somalia, ovunque. E nel frattempo non facciamo praticamente nulla. Chi di noi è salito su un comodo aereo per salvare almeno un bambino? E’ più facile pensare che la responsabilità è delle Nazioni Unite, del G8, dell’Unione Europea, delle missioni di pace, della Croce Rossa Internazionale, ma certo non mia!».
Per comprendere realmente, oltre la testimonianza, come si giunse alla soluzione finale e come fu possibile raggiungere quei livelli di violenza occorrerebbe studiare la storia e la cultura dei popoli europei e delle due guerre mondiali del ‘900, come le dittature nazista e fascista inventarono il pericolo del nemico interno, diverso, infido e complottista per offrire soluzioni immaginarie ad economie in crisi, a generazioni senza futuro, per compattare le nazioni in nome del sangue e della razza, per educare i giovani al culto della guerra permanente e del dominio sugli altri popoli. Capire che si giunse agli stermini di massa per aver adottato precise politiche sociali ed economiche intente a conciliare il capitalismo tedesco con la creazione di uno stato sociale su base etnica.
Ma questo richiede impegno, studio e curiosità che non sono comuni a tutti.
Allora finiremo per riconoscere che va bene anche la spettacolarizzazione della Shoah, il piccolo racconto del bambino salvatosi miracolosamente e va bene anche una favola leggera come «La vita è bella» di Benigni, pur di abbattere il grande muro dell’indifferenza, a condizione però che ci si chieda anche quali sono state le idee, i valori e le parole d’ordine che hanno portato a quella tragedia e se appartengono davvero solo al passato.
*Direttore dell’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea di Ravenna e provincia


Sulla pagina Facebook dell’Istituto storico della resistenza di Ravenna facebook.com/istitutostoricoravenna/  sono disponibili disponibili brani di preziose interviste a testimoni della deportazione razziale e politica, come Liliana Segre, Lea Hoppenheim, Vittoriano Zaccherini ed altri, secondo un programma mensile consultabile anche sul sito www.istoricora.it. Il giorno 27 gennaio in particolare andrà in onda una lectio magistralis di Claudio Vercelli sul tema «Antisemitismo, Negazionismo e banalizzazione della Shoah ai giorni nostri».
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