Ravenna, le «Lettere a Bernini» di Marco Martinelli al Rasi fino a metà mese

Romagna | 08 Dicembre 2024 Cultura
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Ci sono il Seicento, il Papa, i Cardinali, la grande architettura barocca, la Scienza nuova ma anche Hitler, Instagram e i follower nelle Lettere a Bernini di Marco Martinelli. Un libro, appena pubblicato per Einaudi dal fondatore del Teatro delle Albe, ma ovviamente anche un nuovo spettacolo, in scena al teatro Rasi di Ravenna ogni sera alle 21 fino a domenica 15 dicembre (a parte lunedì 9, giornata di pausa, e le domeniche con gli spettacoli alle 15.30).
Ideato da Martinelli con la determinante collaborazione di Ermanna Montanari, lo spettacolo si avvale delle scene di Edoardo Sanchi, delle musiche originali di Marco Olivieri e di un unico attore protagonista: Marco Cacciola. Che per l’appunto trasporterà il Seicento fino a noi, scolpendo nel vuoto, presenze, figure e ricordi per parlarci non tanto e non solo dei tempi del Bernini quanto (forse e soprattutto) dell’imbarbarimento nostro prossimo venturo. Da una prospettiva decisamente particolare, come del resto Martinelli ci ha abituato, ovvero quella del rapporto fra gli intellettuali e il Potere, in un’epoca segnata dalla propaganda non troppo diversamente da quanto accade oggi. Non è un caso che l’altro protagonista - per certi aspetti forse il vero protagonista - del monologo di Gian Lorenzo Bernini sia in realtà il suo acerrimo rivale: Francesco Borromini.
«Anni fa Ermanna e io entrammo in San Carlino, a Roma, il capolavoro di Borromini, e rimanemmo incantati, travolti, tramortiti – spiega Marco Martinelli -. Da lì ho cominciato a leggere di tutto; e più entravo nella vita di Borromini, più si faceva avanti il rivale, Gian Lorenzo Bernini. All’inizio tendevo ad allontanarlo, mi dava fastidio questa figura così prepotente, così protetta dai papi, il dittatore artistico della Roma del suo tempo. Non era solo un grande artista, era un imprenditore, decideva lui chi lavorava e chi no. Poi a un certo punto, grazie a Ermanna, mi sono fatto rapire anch’io dalla grandezza di Bernini e il primo pensiero è stato quello di creare un dialogo fra i due».
Un dialogo che per alcuni aspetti è addirittura a tre, dato che le «lettere» a cui fa riferimento il titolo dello spettacolo e del libro sono quelle, storicamente documentate, che l’intagliatrice di lapislazzuli Francesca Bresciani spediva ai potenti committenti del Bernini, per denunciare il fatto di essere stata a lungo sotto pagata; e configurandosi peraltro - ecco un altro nesso alla contemporaneità – un’anticipatrice della lotta per l’emancipazione femminile.
Il Bernini portato in scena con abiti contemporanei da Marco Cacciola, insomma, si difende dalle accuse di fronte ai cardinali in un giorno d’estate del 1667, e infuriandosi contro Francesca Bresciani finisce per evocare Borromini. «È paradossale che l’amore per Bernini sia nato dal suo grande rivale – commenta Martinelli -. Ma come in un film western, non c’era spazio per entrambi sul palcoscenico, per cui Bernini alla fine s’è preso la scena, perché oltre ad essere pittore, scultore e architetto, era anche uomo di teatro» afferma il regista, che inizialmente aveva pensato ad un dialogo tra i due artisti.
Lettere a Bernini, al di là dei dati storici, interroga lo spettatore sulla complessità dell’animo umano contro ogni tentativo di semplificazione. Quando infatti, al culmine della furia di Bernini, gli giunge la notizia del suicidio di Borromini, sarà la pietas ad occupare i pensieri dell’artista. Una pietà tardiva per la tremenda depressione che aveva colpito il rivale negli ultimi anni e più in generale per l’incessante guerra che gli artisti si fanno, tutti contro tutti, per il loro ‘sgomitare sotto il cielo’. Così Bernini arriverà a riconsiderare l’opera del collega, riconoscendone il valore.
Del resto, sembra chiedersi Martinelli, chi può comprendere fino in fondo la grandezza di un artista se non il suo avversario? Che è anche suo simile.
«Bernini era un uomo pieno di contraddizioni - conclude Martinelli -, un uomo capace di violenze da una parte e dall’altra anche di grande umanità, altrimenti non ci avrebbe regalato tutti i suoi capolavori». (f.sav.)
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