Modigliana, un convegno per cercare di riportare l'allevamento dei bachi da seta

Romagna | 20 Febbraio 2021 Cronaca
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Riccardo Isola - A quarant’anni di distanza, era il 29 novembre 1980, dal primo appuntamento d’approfondimento sul possibile rilancio dell’allevamento del baco da seta, oggi si ritenta. Nel novembre scorso, infatti, l’associazione dottori in agraria e forestali, questa volta tramite un incontro virtuale, hanno bissato l’esperienza di confronto dando vita al convegno intitolato «E’ pensabile il ritorno della gelsibachicoltura in Romagna?». La coltivazione del gelso, soprattutto a Modigliana, ha radici relativamente antiche visto che si parla del 1816 per iniziativa del conte Giovanni Zauli. Da allora la sericoltura ha preso piede e si è sviluppata basti pensare che nei sei comuni dell’Unione della Romagna faentina, nel 1931, si ricavavano oltre 53 tonnellate di bachi da seta con Faenza e Brisighella in cima alla produzione con rispettivamente 35 tonnellate per il capoluogo e oltre 10 tonnellate nel borgo medievale della valle del Lamone. Oggi quindi oltre all’olivo, il vigneto, il possibile sviluppo delle coltivazioni di nocciole, il territorio collinare a sud della via Emilia potrebbe diventare terreno fertile anche per il ritorno dei bachi da seta.

IL PARCO INTERESSATO
«Come Parco della Vena del Gesso - spiega il presidente Antonio Venturi - vista la sua alta percentuale di territorio antropizzato dal punto di vista agricolo (circa 4.ooo ettari) e  la sua natura di area protetta e quindi vocata alla valorizzazione della biodiversità non può che essere fortemente interessata allo sviluppo di questa nicchia produttiva. La situazione è in divenire e l’incontro che abbiamo fatto a novembre del 2020 era proprio per iniziare un percorso che portasse interesse e curiosità tra le aziende del territorio. Lo spazio di crescita c’è, a piccoli passi, ma serve una filiera capace di aiutare la necessaria rete di imprese, magari organizzate come succede nel vicino Veneto in gruppi. La produzione dei bachi da seta ha bisogno certo di investimenti, che però possono trovare finanziamenti, ma anche di un territorio capace di recepire con un grado adeguato di innovazione e spirito imprenditoriale gli stimoli che arrivano dall’esterno».

IL LAVORO DEI CONTADINI
Quello del lavoro dei contadini, in questo caso preso nel duplice senso di attività vera e propria nei campi e di associazione che raggruppa diverse aziende del territorio «l’interesse verso la gelsicoltura risale dai tempi in cui il nostro storico presidente Italo Graziani vide l’esempio di un’azienda nel modiglianese. Da allora - ricorda l’attuale presidente Lea Gardi - non se ne è più fatto nulla. Oggi, invece, grazie anche all’iniziativa recente la possibilità che qualche azienda, al di là degli aspetti prettamente economici, ma anche solo come testimonianza e custode della memoria contadina, possa essere interessata a iniziare qualche piccola attività in tal senso. Sicuramente come associazione ce ne faremo portatori attivi visto che già alcuni soci hanno produzioni, in questo caso solo frutticole, proprio utilizzando le more di gelso che poi trasformano in confetture».  

COSA SERVE OGGI
«La situazione che vige oggi in Romagna per quanto concerne la coltivazione e l’allevamento della gelsibachicoltura è praticamente inesistente. I motivi - illustra l’agronomo Luca Corelli - sono tanti ma l’esigenza prioritaria è che per poterla mettere in campo serva la creazione di un filiera e di una rete che sappia dare risposta alla domanda del mercato. Le potenzialità - spiega- ci sono, anche se non potremmo mai competere con le produzioni di india e Cina che realizzano oltre il 90% della materia prima, ma per una risposta di nicchia che il mercato comunque vuole. Per la produzione – spiega – il territorio deve essere quanto più possibile naturale. L’utilizzo di certi trattamenti, infatti, magari utilizzati per coltivazioni come mele, pere o la viticoltura, non sempre si sposano con l’esigenza dei bachi. Infine - conclude l’agronomo  - servono però anche locali adeguati e qui la burocrazia dei Comuni non sempre aiuta, e quindi dovrebbe arrivare uno sforzo politico per incentivare questa che non potrà che essere un’integrazione al reddito e non una monocoltura aziendale».
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