Insegnare storia agli stranieri, a Lugo e Faenza la sperimentazione di una prof e di un giovane appassionato
Silvia Manzani
Che cosa significa insegnare storia alle persone con cittadinanza straniera? In che modo si giocano le identità culturali nel momento in cui si spiegano guerre, totalitarismi, colonialismo? Se lo sono chiesti Cinzia Spaolonzi, insegnante del Cpia (Centro provinciale istruzione adulti) di Faenza e Lugo e Mattia Randi, laureato in Storia, appassionato della materia e autore di diversi libri e articoli. «Qualche anno fa - racconta Randi - insieme ad Alberto Fuschini e Davide Bandini ho allestito, a Faenza, una mostra sui cappellani militari nella prima guerra mondiale. Avevamo anche riprodotto una trincea, il filo spinato, la capanna del soldato. Fatto sta che Cinzia mi ha contattato per portare i suoi studenti alla visita guidata. Ed è stato in quell’occasione che mi ha chiesto di collaborare con lei per l’insegnamento della storia, visto che avendo un’utenza di studenti per lo più stranieri, il metodo tradizionale andava secondo lei rivisto e ripensato». Partendo dalla rivoluzione francese e arrivando al colonialismo, Randi ha così iniziato a tenere i suoi cicli di lezione, che continuano da tre anni a questa parte in diversi corsi del Cpia: «Mano a mano che abbiamo sperimentato il nostro nuovo approccio, ci siamo accorti non solo che i ragazzi si appassionano e si fanno coinvolgere più del solito, ma anche che si sviluppa un’interazione molto forte in classe. Il tema del colonialismo, per esempio, riserva sempre grandi sorprese, visto che gli studenti ci vedono delle implicazioni personali. Chiaro, noi dobbiamo intervenire. Non certo per minimizzare i problemi che il colonialismo ha portato ma per essere costruttivi e ragionare su quello che si può fare oggi per costruire le democrazie». Mano a mano che le lezioni proseguivano, quella di Randi e Spaolonzi è diventata sempre più una ricerca sul campo: «In ambiente interculturale - spiega la professoressa - ci si rende conto che certi elementi che diamo per scontati non lo sono affatto e che è necessario metterli in discussione. Che cosa vuol dire avanti Cristo e dopo Cristo? Quali sono le fonti? Avendo a che fare con persone da tutto il mondo, bisogna porsi molte più domande, ragionare sul relativismo della storia, confrontarsi con i vari background culturali». L’insegnamento, a quel punto, diventa per lo più scambio: «Ci è capitata - aggiunge Randi - una ragazza russa che contestava il fatto che nel sistema sovietico non ci fosse mobilità sociale, come noi avevamo spiegato, perché un suo familiare, da autista di autobus, era diventato il capo dell’azienda trasporti. Così come studenti dei Paesi arabi incuriositi dal Risorgimento perché richiamava loro i movimenti di autodeterminazione delle primavere arabe. Sono esempi che indicano come l’insegnante, quando entra in questa nuova ottica della didattica, debba decentrarsi, aprirsi ad altri punti di vista, fare diventare gli studenti dei protagonisti e porre attenzione al fatto di non urtare le diverse sensibilità che ci sono in classe». Alla fine, quel che secondo Spaolonzi e Randi rimane, oltre al divertimento, è l’incontro e la crescita insieme: «Il prossimo passo del nostro progetto sarà quello di fare sviluppare a ogni studente il suo tema d’interesse. Una ragazza di origine italiana figlia della migrazione verso il Brasile e oggi emigrata di ritorno vuole, per esempio, lavorare sulla storia dell’emigrazione italiana. Legare la storia ai percorsi individuali e alle vicende personali e familiari è appassionante per gli studenti e per gli insegnanti ma è anche una interessante strategia per l’intercultura».