Il teatro dialettale fra l’età e la qualità, organizzatori di rassegne a confronto
Federico Savini
Non sono d’accordo proprio su tutto gli organizzatori delle principali rassegne di teatro dialettale del nostro territorio, e questo in fondo è un bene. Lo è perché mostra vivacità in un settore che ovviamente fa molto i conti con i tempi che cambiano e con un «percepito generale» che spesso (probabilmente troppo spesso) dà per scontato che le commedie romagnole siano teatro «di serie B». Tra chi è già partito con la rassegna, chi lo ha appena fatto e chi lo farà presto, abbiamo rivolto qualche domanda sul presente e il futuro del nostro teatro di tradizione a Mario Gurioli della Filodrammarica Berton, Paola Mazzotti del Tondo di Lugo, Alessandro Neri di Cvì de Funtanò e Pericle Stoppa della Capit di Ravenna.
I vostri progetti per la stagione?
Mario Gurioli: «Lo spettacolo di punta della Berton sarà la ripresa di un cavallo di battaglia di Luigi Antonio Mazzoni, Sgnόra Padrõna, a Capodanno al Masini e poi in gennaio ai Filodrammatici. In dicembre avremo la favola Il principe dei ladri, con intermezzi dialettali, poi nel 2025 un giallo, le commedie degli Amici del teatro di Cassanigo e Cvì de Futanò, gli approfondimenti sul dialetto dei Lõn ad Mêrz, uno spettacolo guareschiano, di nuovo il recital di aprile e gli esiti dei laboratori a chiudere la stagione».
Paola Mazzotti: «I “Venar de Tond” sono partiti a fine settembre e proseguiranno fino al 20 dicembre, quando chiuderemo con il Gad di Lugo. L’anno scorso non si sono potuti fare, ma già dalla primavera di quest’anno, quando sono stata eletta presidente del Tondo, ho organizzato quattro serate dialettali. Nel 2025 avremo nuove iniziative, legate alla biblioteca, e poi un percorso di cucina, i concerti di musica classica nella sala polivalente grazie al contributo della Fondazione Teatro Rossini, e poi ancora le serate “Dialetto forever” con Paolo Parmiani».
Alessandro Neri: «Già l’ottima riuscita dell’anteprima di “Un teatar par ridar”, al cinema Giardino di Brisighella, è andata molto bene e questo è dipeso certamente dal parterre di grandi figure del dialetto invitate, come Mario Gurioli, Gianni Parmiani, Alfonso Nadiani e Alberta Tedioli. Ma dimostra anche che lavorare sulla comunicazione paga. Infatti, i rappresentanti delle compagnie intervenuti all’anteprima hanno davvero stuzzicato il pubblico, che penso risponderà bene durante la stagione. A Brisighella proporremo 12 spettacoli, con Cvì de Funtanò l’ultima sera prima dell’assegnazione dei premi. Insistiamo sulla formula dell’abbonamento, proponendolo anche eventualmente “dimezzato” a 6 serate. Personalmente, curo anche la direzione artistica delle rassegne di Modigliana, Riolo Terme, Fusignano ed Alfonsine, per una totale di 32 serate».
Pericle Stoppa: «“Ritroviamoci al Rasi” tornerà con la 43ª edizione intorno a fine anno. Per buona parte di dicembre il teatro sarà occupato dal nuovo spettacolo di Marco Martinelli su Bernini, poi comincerà la nostra rassegna, che immancabilmente a Santo Stefano vedrà in scena i Canterini Romagnoli di Ravenna con “La Rumagna int e tu cor”. Il resto del programma prevede 13 spettacoli, di cui 10 commedie con compagnie di teatro dialettale romagnolo, e altre in italiano o altri dialetti. Non sono più i tempi di quando la Capit organizzava cartelloni anche a San Pietro in Vincoli e Lavezzola, ma resta una proposta ampia e in larga parte romagnola».
Il pubblico risponde?
Mario Gurioli: «Devo dire che a vedere uno spettacolo anomalo per il nostro standard come Ethica spa, quale settimana fa, il teatro dei Filodrammatici era quasi pieno e quasi totalmente di giovani! Una cosa simile ce l’aspettiamo per il recital di aprile, come già l’anno scorso, quindi l’interesse per il teatro c’è e il pubblico ringiovanisce addirittura, ma principalmente fuori dal discorso dialettale. Il pubblico anziano non ha completamente superato il Covid e recuperato la voglia di uscire. Tra i giovani però vedo molta curiosità sul dialetto, e anche ai Lõn ad Mêrz dedicheremo una serata al dialetto parlato dai bambini, quelli di Cassanigo e Modigliana nello specifico. La generazione adulta di oggi ha avuto difficoltà di vario ordine nell’approcciare il dialetto, nei confronti del quale i giovanissimi non hanno alcun pregiudizio. Certo, non lo hanno “nelle orecchie”, ma anche nelle interazioni dialettali coi bambini che ho in alcuni spettacoli di quest’anno li vedo curiosi e motivati, quasi grintosi!».
Paola Mazzotti: «Difficilmente superiamo le 40 persone, ma va anche detto che noto un lieve incremento da qualche venerdì. Del resto, ottobre è stata un’emergenza continua, io stessa sono stata alluvionata ancora peggio dello scorso anno e posso capire lo scoramento. Ma, come dicevo, da qualche settimana noto una timida ripresa e anche un po’ più di gioia nell’aria. Ne abbiamo bisogno».
Alessandro Neri: «Siamo appena partiti a Brisighella ma sappiamo che c’è un nocciolo duro da 70-90 persone in media. È confortante, ma non va così in tutti i teatri. Personalmente, credo che il dialettale vada promosso, e non come rassegna “minore”, soprattutto in teatri che funzionano bene, come ad esempio quello modiglianese dei Sozofili. L’anagrafe sicuramente pesa molto sul pubblico, che dovrà necessariamente avere un ricambio. Stiamo lavorando sui cinquantenni, non senza difficoltà, e puntare sui social ed una comunicazione efficace può servire».
Pericle Stoppa: «C’è un lento declino, dovuto soprattutto ad un fatto anagrafico, ahimé. I giovani, per lo più, non conoscono il dialetto e anche io devo dire che non sono riuscito a trasmetterlo alle mie figlie, nonostante lo abbia sempre usato a casa. I tempi nei quali al Rasi dovevamo lasciar fuori la gente risalgono a 20-30 anni fa, ma devo dire che tuttora le compagnie di casa portano pubblico. È più difficile con quelle che vengono da fuori Ravenna, ma noi quest’anno riproponiamo l’abbonamento a prezzo vantaggioso, proprio per avere pubblico a tutte le date. Tornando alla questione sia del dialetto che della prossimità, vanno sempre molto bene gli spettacoli in napoletano della compagnia Il Passaggio, che a Ravenna è molto radicata e poi usa un dialetto, peraltro molto nobile a livello culturale, che viene ben compreso da tutti. Il romagnolo non si è mai imposto a livello nazionale e non è una parlata, come il veneto o il romanesco, che risulti comprensibile a tutti. C’è anche da dire che il Covid ha fatto rallentare tutto il mondo del teatro, a parte i comici, e sul teatro pesa anche la crisi economica, che c’è eccome. Alcuni dicono che non c’è perché i ristoranti sono pieni, ma le cene e gli aperitivi hanno semplicemente sostituito i piaceri di un tempo. Il teatro è tra quelli che ne fanno le spese, perché è proprio su come come il teatro che molte persone oggi risparmiano. Sul versante delle giovani generazioni, guardiamo al mondo della scuola e il fatto che il nostro premio Mazzavillani abbia una sezione dedicata al dialetto per gli studenti delle superiori vuole essere di stimolo. Solo in campagna, in realtà anomale e bellissime come Cassanigo, i giovani parlano ancora dialetto».
Lo stato di salute delle compagnie?
Mario Gurioli: «Le campane da morto che suonarono in pandemia, per fortuna, non hanno fatto i danni che si temeva. Qualcuno, come i Giovani di Chiusura, non ce l’ha fatta, ma devo dire che una stagione come quella di Brisighella dimostra una certa vivacità del teatro dialettale e anche per l’ultimo Agosto d’Argento al Fontanone non abbiamo avuto difficoltà a trovare le compagnie».
Paola Mazzotti: «Le compagnie locali mediamente soffrono abbastanza e la pandemia per esempio ha portato alla fine del gruppo di Granarolo Faentino, che portava sempre tanta gente al Tondo. In effetti il pubblico segue soprattutto le compagnie del territorio, fino a Faenza, perché già per le compagnie di Forlì e Imola vengono meno persone, ma non si tratta di gruppi meno bravi. In parte dipende anche dalla lingua, che cambia in pochi chilometri, ma senz’altro il punto più importante sono le amicizie personali».
Alessandro Neri: «È scomparsa di recente solo quella granarolese di Giovanni Pezzi e compagnie di Cesena e Vecchiazzano hanno avuto difficoltà, ma alla fine hanno superato Covid e alluvione. Dato il contesto, lo stato di salute mi sembra buono e quello che mi preme di più è stimolare la qualità di questi gruppi teatrali. Senza nulla togliere alle parrocchie, se il teatro vernacolare vuole avere un futuro deve puntare alla qualità, perché ha sempre sofferto lo stigma della serie B e spesso ne paga le conseguenze ingiustamente, a meno che non parliamo di realtà straordinarie come la Berton, che non ha bisogno di dimostrare ormai più nulla. Per far calare la diffidenza nei confronti del teatro dialettale serve qualità e sono anche abbastanza convinto che in Romagna ci sia particolare accanimento contro il nostro teatro di tradizione. Di oggettivo c’è una certa latitanza di autori contemporanei, e questo è un problema vero. Il teatro, anche quello dialettale, deve saper raccontare il presente».
Pericle Stoppa: «Calano e hanno difficoltà, ma noi cerchiamo sempre di dare una mano alle più piccole. Tutto sommato il Covid non le ha uccise, perché c’è sempre molta passione negli attori, che però sono molto rari al di sotto di una certa età, e allora capita di vedere delle cinquantenni in scena nei panni delle giovinette… Buone notizie vengono ad esempio, dal Piccolo Teatro Città di Ravenna, che regge bene, e dalla riemersione della Compagnia del Buonumore di Porto Fuori, storica e fondata da don Fuschini, che sta riemergendo».