IL CASTORO | Case Manfredi, venderle per farle rivivere

Romagna | 23 Marzo 2020 Blog Settesere
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Luca De Zordo

24 luglio 2019: viene battuta all’asta per la cifra di 750 mila euro Casa Caldesi, nell’angolo tra via Comandini e via Manfredi, ritenuta per molti anni la dimora della famiglia Manfredi. Giovanni Maplezzi, sindaco di Faenza, è stato intervistato sulla sorte di questo antico palazzo.

La vendita delle case è effettiva?

«La vendita, dopo il 24 luglio 2019, è definitiva: nessun ente ha manifestato la volontà di mantenere pubblica la proprietà di questo immobile, per cui il 7 ottobre è stato fatto un ulteriore atto, con cui è stato possibile stipulare il trasferimento definitivo alla R. Group costruzione srl di Rimini. Solo due particelle, per un totale di circa 250 mq, vengono lasciate in proprietà al Comune di Faenza con l'onere per gli acquirenti di ristrutturarle. Esse fungerebbero da estensione agli spazi in uso alla biblioteca».

Quali sono le cause della messa in vendita?

«Il Comune aveva acquistato l’edificio nel 2001, in occasione di un trasferimento di famiglia in famiglia, secondo quel diritto di prelazione che viene concesso agli enti pubblici di fronte a immobili vincolati. Erano stati spesi 1 milione e 346 mila euro, ma allora non si erano trovati i fondi per ristrutturarlo e, all’ipotesi di un mutuo, subentrò la crisi del 2008. Tenere un immobile in quelle condizioni significava perderlo: già varie parti sono puntellate, l'immobile è collabente, a rischio di crollo, perciò la vendita è l'unica strada per preservarlo nella sua complessità».

Quale sarebbe stato un percorso alternativo alla vendita? Quanto sarebbe costato?

«Escludendo la vendita, si profilava una ristrutturazione. Gli 8, 9 o 10 milioni di euro richiesti superavano le nostre possibilità, infatti stiamo parlando di 3 mila metri circa solo di superficie coperta. Sul prezzo pesano anche i restauri scientifici richiesti da alcune pareti duecentesche. Abbiamo cercato dei finanziamenti esterni, che, a differenza dei 740 mila euro stanziati per il palazzo del Podestà, non abbiamo ottenuto, perciò la vendita era l’unica strada percorribile». 

Quanto a lungo il Comune ha cercato acquirenti per la casa?

«Nel corso di sei o sette anni ci sono stati più tentativi di asta. Dalla cifra iniziale di 1 milione e 200 mila euro, si è arrivati al prezzo di vendita. All’asta ha partecipato l'unico ente che avesse manifestato interesse online, mentre le precedenti erano andate deserte».

Qual è il progetto per la ristrutturazione?

«Oltre alla destinazione residenziale, c’è un piano terra di valore, per cui è molto probabile  un utilizzo mirato a servizi o uffici. La ditta immobiliare di scopo ha dichiarato, tramite l’architetto Alessandro Bucci, che per vedere un cantiere bisognerà aspettare almeno un anno fra progettazione esecutiva, autorizzazione sismica, della Soprintendenza e altre procedure impegnative. Se il cantiere partisse in un anno, il lavoro sarebbe stato decisamente puntuale, Per quanto riguarda invece l’ala destinata alla biblioteca, un’alternativa potrebbe essere lo spostamento della sala ragazzi, ma non abbiamo posto vincoli per lasciare libertà alla prossima amministrazione».

Secondo lei, le case più antiche di Faenza, simboli della città, non dovrebbero rimanere al Comune?

« Detenere la proprietà di tutti gli immobili ad uso residenziale sarebbe insostenibile per le amministrazioni pubbliche, perché bisognerebbe garantirne la manutenzione e la gestione. Credo che l'amministrazione debba essere proprietaria degli immobili storici che sono stati luoghi dell'istituzione, come parte del palazzo comunale. Data la grande presenza di palazzi nobiliari a Faenza, il Comune non può essere proprietario di tutti. L'importante è che ci sia un presidio di tutela da parte della Soprintendenza e che i privati siano in grado di mantenerli in ordine. Non penso che le Case Manfredi debbano essere considerate un immobile pubblico, infatti il loro nome più corretto è Casa Caldesi, in riferimento alla famiglia che lo ha certamente posseduto, mentre è molto dubbio chi fosse il vero proprietario nel 1200 o 1300, tanto che nel 2010 Lucio Donati ha provato che la famiglia Manfredi non c’entra per nulla e che è stata una tradizione, un’eco che ne ha attribuito il possesso ai signori di Faenza».

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