Faenza, Alessandro Garramone ha realizzato per Netflix un’attesissima serie su Wanna Marchi

Romagna | 23 Settembre 2022 Cultura
Federico Savini
«Ero e resto legatissimo al format del documentario, ma in effetti questo lavoro su Wanna Marchi e in generale il taglio che dà Netflix a questo tipo di prodotti è qualcosa di diverso; io lo chiamerei “alternative fiction”. Siamo talmente abituati ai meccanismi narrativi delle fiction che oggi è la realtà a stupirci. Facci caso: una volta davanti a un film ci si stupiva dicendo “sembra vero!”. Oggi, invece, lo stupore è guardare una cosa reale commentando “sembra finto!”». È questo il genere di stupore che Alessandro Garramone si aspetta susciterà Wanna, nuova e ambiziosa serie Netflix che il giornalista e autore tv romagnolo (residente a Lugo ma di casa anche a Faenza, dove per anni ha diretto il settimanale che state leggendo) ha realizzato nel corso di due anni intensi. E che si appresa ora a riportare, se non proprio «in auge», per lo meno all’attenzione di moltissimi la controversa figura della venditrice televisiva per antonomasia, Wanna Marchi, che costruì un piccolo impero all’alba dell’era delle tv commerciali vendendo dapprima alghe dimagranti e creme scioglipancia, salvo poi venire incastrata da Striscia la Notizia e finire in prigione per aver truffato molti acquirenti. Ed è una storia, quella di Wanna Marchi, che oltre ad un personaggio straordinario al di là dei giudizi, racconta molto anche di una fase cruciale del nostro Paese. «Senza dubbio raccontare Wanna Marchi significa anche fare luce sugli anni della prima tv commerciale - spiega Alessandro Garramone -, e quindi raccontare l’Italia dai primi anni ’80 fino all’alba dei ’90, quando arrivarono le accuse di plagio a lei, che praticamente non vendeva più creme dimagranti ma bizzarri amuleti porta fortuna».
Com’è nato il progetto?
«Lavoro per la tv da una ventina d’anni, e attraverso programmi come Sfide e Delitti mi sono occupato a lungo di raccontare storie in forma documentaristica. E anche quando ho avuto altri ruoli, la passione per questo genere di cose mi è rimasta. Da qualche anno ho una mia casa di produzione, con la quale ho realizzato un trittico sugli anni di Mani Pulite, raccontando anche del crac Parmalat e dei furbetti del quartierino. Wanna si inserisce in questa linea perché racconta principalmente “una storia”, anche se è tutto centrato su un personaggio, attorno al quale gravita ogni cosa. L’ho vista di sfuggita in un tv qualche anno fa e ho subito pensato che, sì, l’avevo un po’ dimenticata, ma resta una figura iconica, che ha segnato una fase del nostro Paese. E, soprattutto, ho pensato che la sua storia non era mai stata raccontata fino in fondo. Così, ho passato la notte a setacciare l’archivio dell’Ansa su di lei, di cui già si parlava nel 1980, cominciando a ricostruire le tappe della storia. La sua vita ha avuto rovesci interessanti da indagare e ho proposto il progetto a Fremantle, un’importantissima società di produzione televisiva. L’arco di lavoro è durato due anni».
Raccontare Wanna Marchi significa toccare anche tasti delicati, con annessi giudiziari. Ha richiesto molta attenzione?
«La base giornalistica è stata rigorosissima, attraverso lo scandaglio anche degli atti giudiziari. Usciamo in 200 paesi, con 30 adattamenti di lingue, quindi è necessario lavorare con serietà. La ricerca è stata approfonditissima sui repertori, anche perché non esiste un archivio delle televendite e la cosa ci ha portato letteralmente a perlustrare cantine».
Durante la lavorazione sono state molte le sorprese che hanno portato a modificare, anche solo parzialmente, il progetto?
«L’ultimo anno di lavoro è stato dedicato interamente al montaggio e avremo editato più di venti versioni diverse... Il montato finale di 200 minuti parte da 60 ore di interviste e 150 di repertorio tv. In pratica si parte col soggetto e si delinea una struttura narrativa. Wanna Marchi è un’estetista che a un certo punto fa un bel colpo, approdando su TeleCentro. Da lì decolla, poi cade ma si rialza. Durante le ricerche, i dettagli che cambiano sono molti, ad esempio un personaggio che si rivela meno interessante del previso o un altro che invece stupisce per profondità e importanza. Lo script si definisce dopo le interviste, anche perché non usiamo voce off. È molto delicato il lavoro di incrocio fra i documenti e le testimonianze, che ci ha portato a lasciar fuori alcune chicche, la cui verosimiglianza era però scarsa. E a quel punto prevale il rigore. Tra l’altro, fra le soddisfazioni ho anche quella di avere rintracciato e intervistato il socio di Wanna, il “maestro” Do Nascimento, che era sparito da 15 anni…».
Narrativamente come avete lavorato?
«Io la vedo come una storia, quindi anche le interviste sono ambientate in scenari scelti con cura. I responsabili di Netflix hanno creduto nel progetto soprattutto quando ne hanno colto la prospettiva narrativa. Abbiamo anche dato risalto alla colonna sonora, composta da un altro conterraneo, “Don” Antonio Gramentieri, con una canzone cantata da Daniela Peroni».
Qual è stato il tuo rapporto da spettatore con Wanna Marchi?
«Sono un bambino degli anni ’80 e a quel tempo, se ti annoiavi, al pomeriggio ti imbattevi in Wanna Marchi, mica nei canali dedicati che ci sono adesso! In due ore di televendita lei parlava dieci minuti dei prodotti e il resto erano praticamente le “stories” di Instagram, ma decenni prima di Instagram! Aveva una capacità di generale slogan incredibile. Ancora oggi, a 80 anni appena compiuti, è in forma smagliante».
Cosa stupisce, oggi, della tv di allora?
«Fu un periodo eroico e cialtronesco insieme. Era una tv fatta in casa, da gente che magari non era pienamente consapevole del mezzo, ma lo utilizzava alla grandissima. A modo loro, questi primi venditori televisivi erano professionisti incredibili».
Che effetto pensi farà la serie su chi ha meno di 35 anni?
«Penso che il pubblico sarà variegato, probabilmente la vedrà soprattutto chi ricorda Wanna Marchi, ma sono convinto dell’appeal che potrebbe avere anche sui trentenni, che il nome di Wanna Marchi comunque l’hanno sentito. Quanto ai giovanissimi, so che la battuta finale di Wanna nel trailer (andatela a recuperare, poi capirete perché non la trascriviamo, nda) è diventata virale su TikTok. È una parte molto vera dell’intervista che le ho fatto, con dei momenti di frizione parecchio tesi. Lei si innervosisce e, come sempre, riesce a partorire uno slogan».
Cosa si aspetta Wanna Marchi da questo doc?
«Preciso subito che lei non prende una lira e vedrà il risultato finale solo su Netflix. Non è “la sua” serie, come ha sbandierato. Però è chiaramente un’opportunità per dire la sua e tornare in qualche modo sotto i riflettori, anche quelli internazionali. Dopo di che, a me interessa la storia più che le persone che ne fanno parte. Ed è una storia che fa riemergere il passato in un modo che credo sia utile. Non sono sicuro, ad esempio, che quelli che oggi vendono miracolosi corsi di marketing ai ragazzini sul web siano tutti così migliori di Wanna Marchi…».
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