Castoro, la Diocesi ha in cantiere un intervento di recupero per la Cripta di Sant’Ippolito, occorrerà ancora tempo

Romagna | 17 Giugno 2025 Blog Settesere
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Matteo Loli - Il 16 maggio 2023 la chiesa di Sant’Ippolito è stata colpita dall’alluvione. L’acqua, nella zona, è arrivata a circa un metro di altezza, sommergendo interamente la cripta, che si trova a 3 metri al di sotto del piano stradale. Questo sito rappresenta una delle testimonianze più importanti della Faenza medievale e non è al momento fruibile a causa del fango. «All’inizio c’era il progetto di aspirarlo con le pompe, ma ci si è accorti che era un’operazione molto rischiosa, perché si temeva di rovinare anche lo scavo archeologico» commenta Giovanni Gardini, direttore del museo diocesano di Faenza e vice incaricato del settore cultura e arte sacra. «Per il momento non si è proceduto in nessun modo: il fango è ancora lì dal maggio 2023 -e continua- il desiderio è quello di recuperarla, perché è un bene importante, ma per ora ci si è fermati a una valutazione generale. La cripta -conclude- è di proprietà della diocesi di Faenza-Modigliana, ma per intervenire bisogna passare anche attraverso la Soprintendenza». «Sì -precisa l’architetto Riccardo Drei, direttore dell’ufficio tecnico e arte sacra della diocesi- dopo l’evento alluvionale è stato fatto un sopralluogo dalla dottoressa Federica Gonzato, dirigente della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le Province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. La diocesi si è premurata di fare partire subito una segnalazione dei danni agli edifici di culto e tra questi sono rientrati anche la cripta e il chiostro di Sant’Ippolito. Nel settembre scorso è intervenuta l’ordinanza 32/2024 della Regione Emilia-Romagna, che istituisce i Cis, Contributi di immediato sostegno, per i danni dell’alluvione. La cripta verrà risanata intercettando i soldi di quel finanziamento -aggiunge Drei. Al momento gli architetti Luca Agresti e Nicola Montini stanno elaborando un progetto di recupero, che dovrà poi essere vagliato dalla Soprintendenza». Insomma ci vorrà tempo, ma la diocesi, che è stazione appaltante, ha messo in cantiere il recupero del bene storico-artistico. La cripta di Sant’Ippolito è divisa in tre parti: l’ambiente principale al centro a due navate, con un colonnato nel mezzo e due più piccoli laterali. Quello a sinistra è stato costruito, secondo le ipotesi, poco più tardi del principale e quello a destra, più recente, è databile invece tra il XIV e XV secolo. L’ambiente centrale è il più antico, si suppone che la costruzione risalga alla metà del XII secolo. È stato realizzato utilizzando ampiamente materiali di recupero di epoca romana, databili tra il III e il IV secolo. Come plinto di una colonna è stata utilizzata, ad esempio, una lastra mutila in calcare, di età imperiale, dove è inscritta la parola Sagaris. Erto sagaris era, infatti, una famosa iscrizione, citata anche da Plinio, che faceva riferimento alla produzione faentina di mantelli militari in lino. L’ambiente più antico ha subito più fasi di costruzioni, come testimonia la muratura non omogenea. La prima fase è la più antica. La datazione risulta difficile ma si tratta indubbiamente di un avanzo del monastero dei Benedettini neri di Sant’Ippolito, attivi a Faenza già da prima dell’anno Mille. La cripta ritornò ad essere luogo consacrato nel 1953, quando il parroco don Stefano Belli la rese nuovamente luogo di culto. Nel ‘97 si iniziò lo scavo all’interno dell’ambiente principale. Fu rimosso il primo strato di pavimentazione in marmette realizzato negli anni ‘50, riportando alla luce il pavimento in mattoni posati a secco, che sembrava antico, ma si rivelò di poco precedente a quello moderno. Già prima dell’alluvione si era manifestata l’impossibilità di proseguire gli scavi, a causa della presenza di edifici circostanti. Alcuni studi geologici suggeriscono che i primi edifici sorti in quell’area si trovassero su una piccola altura poco distante dal fiume, ciò ha portato a ipotizzare la possibile presenza di un porto romano. Ad oggi la cripta risulta inaccessibile al pubblico. L’auspicio è che tanti faentini, e non, possano tornare presto a visitarla.
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