Sandro Bassi - E’ partito il progetto «Biodiversità di interesse alimentare: salvaguardia e recupero di cultivar tradizionali locali», con lo scopo di ricercare nell’area appenninica romagnola (province di Ravenna e Forlì-Cesena) antiche varietà locali tradizionali sia cerealicole, come ad esempio il mais, sia orticole come fagioli, ceci, fave, piselli.
«Queste varietà locali, denominate da conservazione in base a leggi europee e nazionali – spiega Massimiliano Costa, direttore del Parco regionale della Vena del Gesso - hanno origine sul territorio e rappresentano la memoria storica e la memoria biologica dell’agricoltura; hanno spesso un’elevata capacità di tollerare gli stress biotici, come possono essere i parassiti, oppure abiotici: cambiamenti climatici o siccità».
«In molti casi - aggiunge Graziano Rossi, botanico dell’Università di Pavia e coordinatore delle ricerche - queste varietà sono caratterizzate da interessanti sapori ed eccellenti proprietà tradizionali, tanto da entrare come ingredienti per i più gustosi piatti tipici della tradizione locale; tuttavia si tratta di piante a forte rischio di erosione genetica visto che, a causa della loro scarsa produttività, molte sono ormai cadute in disuso, soppiantate da varietà moderne più produttive ma di solito meno interessanti sul piano del gusto e meno adattate al territorio locale».
Un esempio illuminante è costituito dal carciofo Moretto di Brisighella, capace di sopportare l’aridità dei calanchi e le problematiche dei suoli argillosi, nonché dotato di un sapore più intenso e fragrante rispetto ai carciofi «normali» ed oggetto di un recupero che lo ha da tempo fatto apprezzare anche sulle tavole dei ristoranti più qualificati.
Il progetto, finanziato dal Gal (Gruppo azione locale) «L’alta Romagna», sarà realizzato con visite alle aziende agricole presenti sul territorio, con interviste agli agricoltori e agli appassionati in genere di orti, ortaggi e «antichi grani». Naturalmente l’applicazione pratica prevede la raccolta dei semi e il loro invio alla Banca del germoplasma vegetale dell’Università di Pavia la quale provvederà a disidratazione e successivo congelamento dei semi, processo con cui gli stessi potranno essere conservati per un periodo di 200 anni o anche più.
Ciò scongiurerà il pericolo che queste antiche varietà vadano perse per sempre e garantirà una solida base di agro-biodiversità locale utile per futuri progetti di recupero ambientale.
I due relatori invitano tutti coloro che coltivino o abbiano informazioni su antiche varietà ortive o cerealicole coltivate nei territori dei due parchi interessati (Vena del Gesso e Foreste Casentinesi) o nelle loro vicinanze ad inviare una segnalazione a graziano.rossi@unipv.it oppure a stefano.tempesti@studio.unibo.it.