Alfonsine, Angela Matulli socia di Al Gallo: «Era una richiesta del territorio, di tornare ad avere una locanda»

Riccardo Isola - E’ uno dei locali più conosciuti, apprezzati e storici di Alfonsine e forse dell’intera Bassa Romagna. Stiamo parlando della Trattoria «Al Gallo». Una istituzione che oggi fa una salto in avanti rispetto al format tradizionale che aveva intrapreso da diversi anni. Lo fa ampliando l’offerta verso la clientela non offendo più e solo piatti, ma anche giacigli dove dorminre. Da alcuni gionri, infatti, ha aperto la storica Locanda, chiusa dal 2017, grazie al sostegno e al co-investimento di una cordata di oltre 20 privati cittadini e imprese locali, che si sono uniti. La storia de «Al Gallo Trattoria & Locanda» inizia in un tempo lontano, ai primi del '900, prima come caffè e albergo di Piazza Vincenzo Monti, poi, appunto, negli anni successivi diventata trattoria. «Il nostro impegno sul territorio non si limita a restituire alla collettività uno spazio a cui era affezionata - spiega Angela Matulli, socia insieme ad Amal Bakkali e Enzo Montanari della struttura -, ma mirerà anche a valorizzare al massimo l’offerta locale. Seppur questo locale appartenesse alla mia famiglia da generazioni – aggiunge - ho voluto ampliare la base sociale perché credo fermamente che solo integrando le antiche tradizioni a nuove e diverse culture si possano raggiungere risultati concreti». Entriamo però più nello specifico dell’offerta culinaria di questo tempio laico del mangiar in quel della Bassa.
Dopo alcuni anni è arrivata la riapertura della locanda. Che cosa vi ha spinto come terza generazione a riprendere questa sfida?
«Abbiamo visto che c’era un bisogno del territorio di avere disponibilità ricettiva, soprattutto business, ma anche una spinta del territorio per la vocazione legata al cicloturismo, all’enogastronomia e al concetto slow in senso generale».
Oltre alla locanda un punto di forza è la trattoria, quale impostazione seguite nell’offerta culinaria?
«La trattoria offre uno spaccato autentico della cucina romagnola di natura casalinga. Quello che caratterizza Al Gallo da sempre, anche prima del 1968 , quando il locale venne acquistato dai miei nonni. Piatti semplici, tutto fatto ogni giorno e rigorosamente stagionale e fatto a mano sono i nostri segreti. Pasta fatta al mattarello, fatta come una volta, gusti autentici, domestici, immediati ma sempre fatti con il cuore e la passione ci stanno dando non solo continuità ma anche un riconoscimento e un apprezzamento cresecnte da parte della clientela».
Da sempre «Al Gallo» è conosciuto e apprezzato soprattutto per i piatti della tradizione. Una filosofia che non avete mai abbandonato, perché?
«Non abbiamo abbandonato la tradizione perché è quello che avevamo e vogliamo offrire. Quello che amava e ama la nostra clientela. Una trattoria che è al contempo accogliente, semplice ma autentica nella proposta curata con un’atmosfera sorridente, solare come i valori e i piatti che abbiamo ereditato. Poi non guardiamo solo al passato ma partiamo da lì. Ma non ci fossiliziamo. Anzi, in menù abbiamo nostre interpretazioni di piatti e tradizioni che on sono solo locali, ma nemmeno italiane, abbiamo voglia di divertirci e di far divertire ma sempre nel rispetto di ciò che è buono».
Un must assoluto del Gallo è il ragù per tagliatelle o cappelletti soprattutto. Ricetta autentica vostra, storica, famigliare i avete cambiato nel corso di tutti questi anni?
«Assolutamente non abbiamo cambiato nulla. La ricetta viene da prima di quando i miei nonni l’hanno preso, praticamente dalla titolare storica del locale. Quella è la sua originale e possiamo immaginare risalga a ben prima delle prima della Seconda Guerra Mondiale. Oggi noi la offriamo e realizziamo ancora così. Su questo non si transige».
In una trattoria oltre al cibo un altro importante elemento è il vino. La vostra carta è territoriale o guarda anche fuori confini romagnoli?
«Ci stiamo lavorando e la volomtà è proprio quella di aumentare e qualificare ulteriormente l’offerta. Per ora la nostra carta è piccola e fortemente vocata a esprimere identità territoriali. Ma ci vogliamo lavorare ancora».