8 marzo, Fierro (consigliera di parità): «300 donne si dimettono nel primo anno di vita del bebè»

Romagna | 04 Marzo 2023 Cronaca
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Marianna Carnoli
La situazione dell’occupazione femminile in Italia presenta, da anni, numeri allarmanti rispetto al resto dell’Unione Europea e il nostro paese sembra ancora scoraggiare l’ingresso nelle donne nel mondo del lavoro. Rispetto a 70 anni fa, le donne sono più indipendenti, ma sono ancora troppe quelle che, nonostante l’età idonea al lavoro scelgono di restare a casa magari dopo la nascita del primo figlio. Secondo i dati del Bilancio di genere pubblicato dalla Regione lo scorso anno e relativo al 2020, la pandemia ha registrato 43mila occupati in meno, di cui 30mila donne, con un tasso di occupazione pari al 75,5% per gli uomini e del 62% per le donne, nella fascia 15-64 anni. Il part time si conferma una modalità di lavoro prettamente femminile, una scelta spesso obbligata che per il 41% delle donne che ne fanno richiesta, risiede nell’esigenza di prendersi cura dei figli e di altri familiari, contro il 7% degli uomini. L’analisi per settori di attività economica dell’occupazione, nel 2020, non evidenzia scostamenti dall’ormai nota concentrazione delle donne nei settori dei servizi, istruzione e sanità mentre continuano ad essere scarsamente rappresentate nel settore costruzioni o in quello dei trasporti e magazzinaggio. In termini di variazione assoluta, rispetto al 2019, la maggior perdita di occupati si registra nell’industria in senso stretto, oltre 26 mila unità per la maggioranza uomini, e nel settore alberghi e ristoranti per quasi 18 mila unità, di cui 12 mila donne. Al di là del settore economico di occupazione, l’analisi della posizione professionale, delle tipologie contrattuali, della diffusione del lavoro a termine evidenzia come le donne abbiano in ambito lavorativo una posizione meno protetta rispetto a quella degli uomini: se alle dipendenze, sono più spesso titolari di un contratto a termine, se lavoratrici indipendenti è molto probabile che siano coadiuvanti, collaboratrici o prestatrici d’opera occasionale. «Il nostro paese ha un tasso di occupazione femminile al di sotto della media europea e anche la nostra provincia registra questo trend- ha spiegato la consigliera di parità della provincia di Ravenna, Carmelina Fierro- mentre il gap occupazionale tra uomini e donne è dell’11%, praticamente il doppio rispetto a quello europeo. Con la pandemia le storiche disuguaglianze sono esplose e s’è registrato un impoverimento di proposte lavorative, di qualità lavorative e di redditi. Tutte le donne hanno lavorato meno, sia quelle impiegate nella cura alla persona che le impiegate, ma anche le ricercatrici. La grande difficoltà, nel nostro paese, resta quella di conciliare la vita lavorativa con quella familiare: a Ravenna, ogni anno, 300 donne si dimettono durante il primo anno di vita del loro figlio poiché manca la possibilità di armonizzare la vita di mamma con quella di lavoratrice ed un modello organizzativo di produzione del lavoro che valorizzi le competenze più che le presenze. In sintesi, le donne vengono estromesse dal mondo del lavoro con la consapevolezza che se volessero rientrare dovrebbero ricominciare da zero a prescindere dalla professionalità acquisita egli anni e dal titolo di studio. Tutto ciò crea un impoverimento di reddito, tutela, competenza, stabilità e fiducia in un sistema che non sostiene l’equilibrio tra generi. Penso servirebbe un’attenta riflessione sulla genitorialità, sulla condivisione dei carichi di cura per far sì che anche i padri possano vivere il loro ruolo». E sul tema delle disuguaglianze sul luogo di lavoro, Fierro sottolinea come in Italia domini ancora il sistema patriarcale con una tangibile assenza delle donne nei ruoli apicali, nei cda delle aziende, in politica. «I tempi della società sono scanditi da un orologio maschile: quante donne potranno partecipare ad una riunione aziendale alle 19 o a un convegno alle 20 se, uscite alle 18 dal lavoro, dovranno occuparsi della casa e dei figli “grazie” ad una storica impostazione della società? E, dall’altra parte, chi sceglie di non diventare madre ed è impegnata nel mondo del lavoro non viene riconosciuta al pari di un uomo».
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