Integrazione: dal permesso di soggiorno alla residenza, l'odissea degli extracomunitari

Ravenna | 20 Dicembre 2021 Mappamondo
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Fabrizia Montanari

Con il freddo e le feste in arrivo, la casa, luogo di intimità ma anche di condivisione e convivialità con parenti e amici, diventa un miraggio per molti stranieri che incontrano non poche difficoltà a trovare un alloggio sul nostro territorio.

Molti extracomunitari, infatti, vengono ospitati da amici o parenti, soprattutto quando si spostano sul territorio per motivi di lavoro o altro. Gli alloggi possono essere anche posti-letto subaffittati in appartamenti dove vivono altri connazionali. Per essere titolari di un contratto di affitto, invece, spesso vengono richieste molte garanzie, come un contratto di lavoro stabile e garanzie economiche. Anche per accedere agli alloggi Acer vengono richiesti dei requisiti che riguardano la tipologia di permesso di soggiorno posseduto e la residenza nel territorio per alcuni anni. «Dichiarare la propria residenza nel luogo esatto in cui si abita è importante, sia ai fini anagrafici sia per accedere ad alcuni servizi, come ad esempio l’assistenza sanitaria» spiega Nicola Rubbi, operatore del Centro di Ascolto Caritas Faenza. «In generale, per poter dichiarare la residenza presso il Comune in cui si dimora, occorre essere titolari di un permesso di soggiorno in corso di validità e dimostrare la legittimità dell’occupazione dell’alloggio, elemento difficile per chi si trova ospite da parenti o amici in modo temporaneo».

Pur nella complessità della legislazione vigente e nella miriade di situazioni diverse l’una dall’altra, alcuni casi giungono a buon fine dopo un iter che, in primo luogo deve riuscire a far avere a queste persone il riconoscimento del proprio status nel Paese accogliente. Ne abbiamo parlato con Gabriella Cimatti, faentina, avvocato civilista che dal 2015 si occupa di migranti collaborando con Caritas e associazione Comunità papa Giovanni XXIII e che ad oggi ha esaminato oltre un centinaio di richieste. «Ho seguito il caso di BW, guineaino, arrivato a Faenza nel 2017 dopo un percorso migratorio difficile durato tre anni (alcuni mesi trascorsi in Libia), al quale in un primo tempo era stata rigettata la domanda di protezione internazionale ma che oggi, dopo che abbiamo presentato ricorso, ha ottenuto il permesso di soggiorno e ha preso in affitto un appartamento, potendo contare su un reddito da lavoro».

«Esamino poi molte richieste di protezione speciale – continua Cimatti – dopo che nell’ottobre 2020 il decreto Lamorgese, convertito in legge, ha sancito il divieto di espulsione in caso questa risulti lesiva del diritto del migrante alla vita privata e familiare, anche allorquando manchino i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e, di conseguenza, ha stabilito il suo diritto ad un permesso di protezione speciale. Tra queste richieste, quella di una madre che, avendo terminato la durata del suo permesso di soggiorno in Italia per motivi di salute dopo la nascita dei figli, necessita ora di un permesso speciale, in quanto il suo eventuale rientro nel Paese d’origine in questo momento, la costringerebbe a lasciare il marito, regolare e con permesso di soggiorno, in una situazione di disagio con due minori a carico».

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