«Il viaggio di Roberto» per l'opera dell'Alighieri
Uno spettacolo per ricordare, ma anche per insegnare, «Il viaggio di Roberto, un treno verso Auschwitz», al Teatro Alighieri di Ravenna domenica 16 (ore 15.30, in replica per le scuole lunedì 17 e martedì 18 dicembre) apre la stagione di opera con una nuova versione rivista per orchestra da Paolo Marzocchi, testo di Guido Barbieri, che verrà poi rappresentata anche al Teatro Comunale di Ferrara e al Teatro Regio di Parma. La regia è di Alessio Pizzech, mentre la parte musicale è affidata all’Orchestra Arcangelo Corelli diretta da Jacopo Rivani. Franco Costantini e Cinzia Damassa vestono rispettivamente i panni di un ipotetico compagno di viaggio, Vittorio, e di Ines, la madre di Roberto. Sul palco anche il coro di voci bianche Libere Note dell’Istituto comprensivo statale Guido Novello di Ravenna.
É la storia di un ragazzo di 15 anni, arrivato a Ravenna nel 1937, dove frequenta la Scuola Mordani, ma che nel 1943 viene deportato nel campo di lavoro di Auschwitz-Monowitz. Costantini, che ha già interpretato questo ruolo nel 2014, racconta il personaggo di Vittorio.
Com'è il suo ruolo?
«Il mio è un ruolo molto delicato, spetta a me, narrare tutta la storia. Roberto Bachi non ha voce, far recitare un bambino è difficile quindi io racconterò il suo viaggio, sarò Vittorio, un suo immaginario compagno di viaggio. Sono il filo conduttore verbale di tutta la vicenda narrata. Sono un personaggio complicato, che soffre di lacerazioni interne, vuole ricordare per accettare e superare il dolore, ma dall’altro lato cerca di rimuovere questo ricordo doloroso. La narrazione sarà complessa e implacabile, come è il ricordo. Ma proprio per questo sarà anche liberatoria».
Nel 2014 ha interpretato lo stesso ruolo, cosa è cambiato?
«Il teatro è come una jam session, è impossibile che sia uguale. Questo è anche il suo bello perché fornisce qualcosa di unico, irripetibile. Lo spettacolo cresce perché si va sempre più in profondità».
Si tratta solo di una storia del passato?
«Lo spettacolo racconta una storia quanto mai moderna. Quando parliamo di una deportazione ad Auschwitz io penso ad altre deportazioni. Quelle di oggi. Sono situazioni drammatiche, oggettive, vedo le deportazioni nel Mediterraneo di queste persone che finiscono in case di accoglienza che non sono altro che lager. È una storia drammaticamente attuale, sulla quale non possiamo chiudere gli occhi. Vittorio ci prova a chiudere gli occhi, ma alla fine farà lo stesso i conti con il dolore. Non è la soluzione rimuovere il ricordo e il dolore. La cosa geniale della parte musicale di Marzocchi è che ha trasformato in note il numero di identificazione che Roberto aveva stampigliato sul polso. Sono sei note, una sequenza armonica dominante, che esprime una tensione drammatica e una poesia che lascia senza fiato».
Quanto è importante la memoria?
«È tutto. La memoria è l’essere. Senza memoria non siamo nulla, perdiamo identità. È la base della vita». (e.nen).