La castellana Eva Sangiorgi al timone del festival «Viennale»: 270 proiezioni in due settimane

Faenza | 27 Ottobre 2018 Cultura
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Federico Savini
«In sei mesi che abito a Vienna non ho praticamente ancora visto la città. Il lavoro assorbe tutto il tempo, ma non mi posso certo lamentare, è un lavoro bellissimo». Può ben dirlo Eva Sangiorgi, direttrice della Viennale, il festival del cinema di Vienna appena partito e che proseguirà in varie sedi e sale della città, con molti ospiti e centinaia di proiezioni, fino all’8 novembre. Nativa di Castel Bolognese e proveniente da una precedente esperienza a capo di un festival cinematografico messicano, in gennaio è stata chiamata a dirigere la Viennale - per la quale si era candidata attraverso un bando - e da marzo lavora nella capitale austriaca a un festival storico e molto frequentato (si parla di 90mila spettatori attesi) che ha diverse caratteristiche originali, tra cui quella di non essere un concorso e di «radunare» il meglio dei film proiettati negli altri festival internazionali della settima arte. «Da marzo mi dedico in esclusiva alla Viennale - racconta Eva -. Il lavoro è tanto ma ho un ottimo team, che conosce il meccanismo da anni. Diciamo che sono saltata in groppa a un cavallo in corsa. La lingua non è un ostacolo da poco, ma di fatto ci muoviamo in un contesto internazionale, quindi in genere si parla in inglese».
Che impronta hai cercato di dare al festival di quest’anno?
«La formula di base è quella di sempre ma nel programma c’è, naturalmente, la mia prospettiva, una linea che comunque era già piuttosto vicina alle tendenze di questo festival. Senz’altro quest’anno ci sarà più cinema sperimentale del solito e molti film italiani. Ma non perché sono italiana io, è stata proprio un’annata generosa per il cinema tricolore. Se si guarda in particolare alla sperimentazione, i prodotti che arrivano dall’Italia sono interessantissimi, dovremmo averne più coscienza. C’è una sezione di “documentari non convenzionali” con Stefano Savona e il suo La strada dei Samouni, Giorgio Ferrero con Beautiful Things, Fabrizio Ferraro con Gli indesiderati d’Europa e Yervant Gianikian con I diari di Angela, oltre alla proiezione di Suspiria di Guadagnino e la coproduzione In My Room di Ulrich Kohler».
E al di là delle proiezioni?
«E’ stato intensificato il programma degli incontri con attori e autori. Sono eventi che rendono unico il festival, belle opportunità per il pubblico. La Viennale piace agli addetti ai lavori per il clima che vi si respira, ma è un festival largamente fruito dai viennesi e dal pubblico appassionato. Inoltre ho rinnovato il catalogo, con testi originali per creare un volume da collezione».
Per le selezioni a quanti festival hai partecipato?
«Già in Messico, a febbraio, ho visto molti film, poi sono stata a Rotterdam e a Cannes, dove facevo parte della giuria della Settimana della Critica. E poi non ho voluto perdere i miei festival preferiti, che sono Marsiglia, Locarno e Venezia, riuscendo a visionare in anteprima alcuni film di San Sebastian e Toronto. Proietteremo 270 film su diverse sale. E’ un festival pensato proprio per il pubblico, anche per questo è così lungo».
Inevitabile chiederti dell’impatto che Netflix sta già avendo sulle sale e sui festival. Che scenari vedi?
«E’ il nodo cinematografico di questi tempi; noi peraltro gestiamo anche una sala a Vienna e abbiamo un’ampia prospettiva sulla questione. Basilarmente l’esperienza della sala è insostituibile e i festival servono a stimolare e dare uno scadenzario all’intero settore. Detto questo, e considerando comunque che fin dai tempi dell’homevideo ha avuto concorrenti sul versante della tempistica, è impossibile sottovalutare Netflix come competitor. Oltre che una piattaforma oggi sono anche produttori, sono quindi sul mercato ed è capitato anche che registi che puntavano al grande schermo poi sono finiti direttamente in tv. Il caso più interessante è però quello di Alfonso Cuaròn che ha vinto il festival di Venezia col film Roma, prodotto da Netflix, ma circolato appunto nei festival, anche in quello di Roma, su esplicita richiesta del regista. Sia la magia della sala che la comodità della pay tv hanno frecce al loro arco, è una situazione in divenire e le due realtà vanno fatte dialogare. Tornando alle sale, non c’è dubbio che una politica di riduzione dei costi dei biglietti aiuterebbe molto».
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