Gli anni Venti al Museo internazionale della ceramica

Faenza | 18 Febbraio 2017 Cultura
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Sandro Bassi
Non solo succursale di quella di Forlì, la mostra Ceramica Déco, il gusto di un’epoca, al Mic di Faenza (inaugurazione venerdì 17 alle 18), racconta uno stile, un modo di vivere e concepire l’arte e la bellezza. Attraverso più di 130 opere - principalmente ceramiche, ovvio, ma anche ferri battuti, vetri, arredi e xilografie - si offre lo spaccato di un decennio intenso, tormentato dai postumi della Grande Guerra e dalle avvisaglie della crisi del ’29, ma gravido di fermenti. Parliamo dei furibondi anni Venti in cui emergono Giò Ponti, le manifatture Richard Ginori, Lenci e Rometti, in scultura Arturo Martini e nel design il Bauhaus della repubblica di Weimar; tuttavia, come sottolinea la curatrice Claudia Casali «qui ci siamo concentrati sul settore ceramico e sui nomi locali, tutt’altro che marginali».
A Faenza il Déco vedrà soprattutto le raffinatissime - in bilico fra decadenza ed estetismi languidi - composizioni di Francesco Nonni e di Giovanni Guerrini, ma è preceduto dalle istanze del Cenacolo Baccariniano. Sarebbe una forzatura far passare per pioniere del Déco il povero Domenico Baccarini, che muore nel 1907, tuttavia il Mic individua alcune significative «premesse» già in quel primo decennio del secolo e mette in mostra la klimtiana Fanciulla tra i gigli, di Baccarini, accanto a due noti vasi di Galileo Chini, a due straordinarie sculture liberty di Drei e Rambelli e al precursore Violinista di Castellani.
La sontuosità del Déco esplode con Nonni, presente con il Corteo orientale (l’esemplare del Mic è in prestito a Forlì: qui c’è una versione del 1925) e con effeminate figure di danzatori, odalische e pierrot. Nonni interpreta il Déco con eleganza inarrivabile, carica di sensualità ambigua.
Più solide e «maschie» le ceramiche di Rambelli e dell’irascibile Melandri che con la sua creatività non poteva non misurarsi anche con il Déco. Le curiosità più stimolanti sono forse nel Lampadario ad elica rotante - non proprio inedito ma sempre spettacolare - della manifattura Baldi di Brisighella, ad una terracotta smaltata di Ammannati molto tarda (1935), rientrante nelle celebrazioni dei mestieri agresti care al regime ma di maestria commovente e in un vaso di Manlio Trucco (1928) con suggestioni dall’aeropittura. Il resto proviene dai ricchi, in parte inediti, depositi del Mic, da quell’eccezionale museo-campionario che è il Misa dell’ex «Ballardini» e da privati.
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