Alberto Grilli ripercorre la storia dei Due Mondi in occasione delle celebrazioni
Sandro Bassi
Nel 2019 i «Due Mondi» di Faenza festeggiano quarant’anni di vita. Certo, quarant’anni di teatro, ma non solo nel senso di spettacoli ed esibizioni, anzi. Più che la carriera, «quelli dei Due Mondi» hanno perseguito nel tempo un’idea di teatro popolare e impegnato, un teatro passionale, vicino alla gente e alla vita reale, un teatro, perché no, anche politico o quantomeno che crede ancora nel sociale. Lasciamo però che sia uno degli storici fondatori, Alberto Grilli, a parlarne, anche perché siamo sicuri che rifuggirà da qualsiasi autocelebrazione.
Alberto, quando e perché avete cominciato?
«Rispondere a “quando” è facile: nel 1979. Eravamo quasi tutti minorenni – solo io avevo compiuto da poco la maggiore età – al punto che sui documenti figurano i nomi dei vari genitori. Spiegare il “perché” è più complesso ma ci provo: venivamo dalla scuola – ma sarebbe meglio dire dal magistero e dall’esempio – di Mario Zoli, che aveva fondato la compagnia “Alter Ego”. Non avevamo una sede vera e propria e anche per provare, oltre al teatrino parrocchiale di San Giuseppe, ci spostavamo qua e là. Naturalmente con “i vecchi”, cioè con i nostri padri, abbiamo ben presto litigato, già al primo spettacolo che fu “Giochi di mano” dell’allora sconosciuto Furio Bordon. Ci dissero – oggi posso dire giustamente – che così non andava e noi, altrettanto giustamente, ce ne siamo fregati e abbiamo tirato dritto per quella strada».
Poi però vi siete strutturati, facendo una scelta professionale…
«Mah, sì e no. Posso dire che in sette, quattro anni dopo, abbiamo provato a cambiare passo, non certo per “intraprendere una carriera”, però, questo sì, investendoci personalmente, pur senza fare nessuna scuola».
E come avete fatto?
«Con l’autodidattica, o meglio, con l’autopedagogia, che in pratica vuol dire leggere libri il più possibile, guardare gli spettacoli altrui cercando di imparare e fare qualche laboratorio con qualcuno più bravo di te. Direi che ce l’abbiamo fatta nel 1988, quando abbiamo messo in scena il nostro primo spettacolo significativo, “Ubu Re”. Ecco, con quello abbiamo definito una nostra poetica precisa».
Senti, in quarant’anni il Teatro Due Mondi ha avuto indiscutibili successi ma ha pure fatto delle rinunce, ad esempio rimanendo volutamente nella dimensione di nascita, quella provinciale. Ma vediamo qualche dato, perché temo che tu non lo voglia tirar fuori: ad esempio, un bilancio della vostra produzione?
«Fra classici più o meno rivisitati o adattati e scritture originali di Gigi Bertoni si tratta di una quarantina di spettacoli da noi prodotti. Poi ci sono i lavori di strada. Poi c’è tutta quell’attività che non è produzione teatrale ma che ne è corollario, perché nel 1990 abbiamo iniziato a portare a Faenza laboratori, festival, conferenze, progetti vari e incontri: 450 nomi fra singoli artisti e compagnie».
Senza retorica, rimpiangi gli anni giovanili?
«Eh, certo perché quando abbiamo iniziato non avevamo neanche una sedia e abbiamo dovuto costruire tutto da zero, ma questo ci è servito e credo sia servito anche agli altri, nel senso che il nostro bilancio vero sta nel patrimonio di crescita di conoscenze che lasciamo alla società. Poi, personalmente posso dire che rimpiango i tempi in cui facevo, rispetto ad oggi, molte più ore di prove e molte meno di progetti europei o di ricerca finanziamenti».
Scusa Alberto, si è fatto tardi e peraltro voi avete un bellissimo programma di celebrazioni di compleanno (vedi scheda a fianco): dicci solo come l’avete impostato…
«Abbiamo pensato che più che voler dimostrare quanto siamo stati bravi era giusto dare la parola ad altri: da lì è nato il libro, “40” a cura di Gigi Bertoni, che raccoglie una cinquantina di contributi, di storici del teatro ma anche di gente normale che ci ha seguito, amato o magari anche criticato. Poi voglio citare le varie voci – letture, parole, musiche - che mettiamo in scena contro il razzismo. Infine cito gli amici di “Tratti” che non ci sono più, Guido Leotta e Giovanni Nadiani, cui dedichiamo una serata. Non siamo arrivati a inserire un terzo che purtroppo se n’è andato, Massimo Montevecchi, ma non l’abbiamo dimenticato: ci sarà, eccome, in un prossimo appuntamento».