QUARTIERE BRUXELLES di Valentina Brini: Brexit, via le bandiere da Bruxelles

Emilia Romagna | 03 Febbraio 2020 Blog Settesere
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Il matrimonio fra la Gran Bretagna e l'Ue non arriverà alle nozze d'oro: l'accordo sulla Brexit raggiunto da Boris Johnson con Bruxelles è da diventato legge nel Regno e il divorzio - dopo 47 anni - è stato dunque sancito nero su bianco per le 23 esatte del 31 gennaio, ora del meridiano di Greenwich. L'ultimo tassello è stato apposto con l'atto dovuto della firma della regina, o Royal Assent, al testo dello European Union Withdrawal Agreement Act, che ha così concluso il suo contrastato iter di ratifica parlamentare a Westminster dopo tre anni e sette mesi dall'esito del referendum del giugno 2016. Il Royal Assent è stato comunicato alla Camera dei Comuni fra gli applausi fragorosi di una parte dei banchi Tory. Questo passaggio «significa che il 31 gennaio lasceremo l'Ue e volteremo pagina come un Regno Unito», ha dichiarato il premier britannico, Boris Johnson, inneggiando alla vittoria. «Talora si era pensato che non avremmo mai tagliato il traguardo della Brexit, ma ce l'abbiamo fatta. E adesso possiamo lasciarci alle spalle tre anni di divisioni e di recriminazioni e concentrarci per attuare un futuro esaltante, con scuole e ospedali migliori, strade più sicure e opportunità estese a ogni angolo del nostro Paese».
Proclami a parte, la strada da fare è ancora parecchia. A iniziare dai negoziati sulle relazioni future – commerciali in primis – con i 27 Paesi Ue, che scatteranno dal primo febbraio e dovranno consumarsi in soli 11 mesi di transizione, data l'intenzione dell'esecutivo britannico - suggellata nella stessa legge appena varata - di non chiedere alcuna proroga oltre il 31 dicembre 2020. Sullo sfondo, restano intanto tutte da attenuare, al di là degli auspici, le lacerazioni che hanno segnato sia il Parlamento sia l’intero Regno Unito in questi anni. In un dibattito attraversato da scontri aspri, cambiamenti di governo e dal passaggio di consegne fra la premiership di Theresa May e quella di Johnson. E da due successive elezioni anticipate, prima dell'approdo al responso delle urne di dicembre, coronato dal successo dei Conservatori all'insegna dello slogan 'Get Brexit Done', che ha garantito infine a Boris Johnson il controllo della Camera dei Comuni. Lacerazioni che il capogruppo degli indipendentisti scozzesi dell'Snp a Westminster, Ian Blackford, ha richiamato liquidando il via libera all'addio all'Ue come l'inizio di «una crisi costituzionale» fra Londra e quelle nazioni del Regno, Scozia in testa, pubblicamente contrarie alla Brexit.
A Bruxelles, allora, si guarda già al dopo. Oltre alla scontata ratifica parallela dell'accordo di recesso da parte del Parlamento europeo, gli eurodeputati di Sua Maestà sono pronti a lasciare la capitale belga e, nella notte fra il 31 gennaio ed il 1 febbraio, tutte le bandiere del Regno – la Union Jack – saranno ammainate davanti alle istituzioni europee a Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo. «No, no, no, non torneremo, questo è il punto di non ritorno», ha detto uno dei grandi promotori della Brexit, Nigel Farage, che per oltre 21 anni ha occupato gli scranni dell’Europarlamentari, a chi gli chiede se in futuro il Regno Unito ritornerà in Ue.  «Dobbiamo lavorare per avere degli accordi che impediscano qualsiasi ripercussione economica negativa, consapevoli che, se ci saranno difficoltà, le ripercussioni negative saranno alla fine purtroppo più negative per il Regno Unito che per l'insieme dell'Ue», ha invece affermato il commissario Ue all'Economia, Paolo Gentiloni, sottolineando di vivere la Brexit «come un momento triste, ma è una scelta che non abbiamo voluto, che ha voluto la maggioranza del popolo britannico e che noi non possiamo che accettare, non è una bella pagina per l’Unione».
 I tempi dei prossimi passi negoziali tra l’Ue e il Regno sul libero scambio sono stretti: gli Usa sono in agguato sulla riva del fiume per cogliere la chance d'un patto commerciale favorevole con Boris Johnson. Un accordo ‘speciale’ che, secondo il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, e i voleri di Donald Trump, potrebbe essere chiuso già «quest'anno».
 
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