L’autrice Francesca Masi parla di «Rut» e «Buio d’inferno» per Ravenna Festival

Elena Nencini
Un viaggio tra parole e musica quello che si svolgerà alla Domus dei tappeti di pietra (5, 7, 9, 11, 13, 24, 26, 28, 30 giugno, 2, 4 luglio, ore 17) con «Buio d’inferno e la dolce sinfonia di paradiso», con musiche di Franz Liszt e Johann Sebastian Bach eseguite dall’orchestra La Corelli diretta da Jacopo Rivani a cui si alternano testi letti dall’attrice Camilla Berardi e scelti da Francesca Masi. Appassionata di Dante e autrice già negli scorsi anni di opere per il festival (come la sacra rappresentazione «Dilexi» nel 2024 e quest’anno anche «Rut. Raccolti di speranza») Masi si muove con leggerezza tra i testi di Omero, Ovidio, Virgilio, Paolo di Tarso, per proporre un parallelismo tra il salire e lo scendere, tra mito e religione.
Masi, a cosa si ispira il progetto alla Domus?
«La scala di Giacobbe è l’emblema di questo movimento dello spirito e della vita: appunto la discesa agli inferi e l’ascesa al cielo. La vita è una discesa e una risalita continua. E’ un tema che mi è molto caro e che sta alla base della Divina Commedia. Con questo spettacolo si scende alle radici di Ravenna per risalire cambiati. La katabasis è la discesa nelle nostre profondità, il direttore Rivani per la parte musicale ha pensato a Lizst, io invece ho fatto un viaggio tra la Commedia e gli inferni privati, personali».
Quali testi ha scelto?
«Sono 12 concerti e 12 letture, con testi presi da Ovidio, Omero, Dino Buzzati, Italo Calvino, molto Dante. Ci sono miti come Leandro e Ero, Cadmo e Armonia, la discesa di Ulisse e l’incontro con Ecuba, un atto di psicoanalisi ante litteram nell’Odissea. Tutto si gioca tra inferno e paradiso non c’è il purgatorio, più scendi e più ti accorgi di come sia un viaggio nella nostra interiorità».
A cosa pensava quando ha ideato questo evento?
«A trovare le domande che ci abitano. Le risposte arrivano dopo, dobbiamo avere fiducia nella nostra interiorità, avere fede in noi se stessi, escono delle cose meravigliose. La fede è in noi non in un dio che sta fuori. In un viaggio tra inferno e paradiso non si può non parlare di Dante: scendere negli inferi e necessario per ascendere alle altezze».
Come è la sua Rut?
«E’ una donna che si prende uno spazio pubblico e avoca a se stessa il diritto di fare politica in un senso alto. Mi sono stati molto di aiuto i testi di Erri De Luca. Rut è un modello di sorellanza, di una comunità delle donne che hanno un altro modo di interpretare lo stare nel mondo. Per le donne si raccoglie, si ricuce, si arricchisce, non si distrugge. Lo spettacolo, una commissione del Festival per il Giubileo della speranza, funziona come una sacra rappresentazione per coro, soli e piccollo ensemble di strumenti. Una rappresentazione molto semplice perchè si svolge all’interno della basilica di San Giovanni e bisogna rispettare lo spazio sacro».
Su cosa ha puntato?
«Sulle parole di Rut che spiegano il concetto della ‘raccoglitrice. E’ uno dei libri più belli della Bibbia. La musica sarà dell’Ensemble La Corelli e del gruppo vocale Heinrich Schutz».