IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Sotto mentite spoglie
Guido Tampieri - Pare se ne siano dimenticati. Dell’alluvione, delle criticità che si è lasciata dietro, degli impegni solenni che il Presidente del Consiglio si era assunto. Passato il tempo degli abbracci e dell’ipocrisia la Romagna si ritrova sola ad affrontare i problemi della risalita. L’amico immaginario Galeazzo Bignami, che i maligni vogliono più interessato ai nostri voti che alle nostre vite, sui soldi fantasma tace. Starà provando qualche divisa. Ci siamo affidati al cuore di mamma di Giorgia Meloni. Con una postura più prossima alla supplica che alla rivendicazione. Ne abbiamo ricevuto in cambio il generale Figliuolo. Più simile a un ostaggio che a un plenipotenziario. La diplomazia del sorriso non ha dato i risultati sperati. È stata malintesa, dileggiata perfino. Il tempo passa e il danno rischia di diventare irreparabile.
Per far valere le ragioni della nostra gente è forse il caso di cambiare registro. Bonaccini teme disordini sociali, che sono diventati un po’ una fissa per una politica più propensa a sopire che a suscitare energie civili. Io preferisco una società che manifesta apertamente il suo disagio, che sembra non trovare più interpreti né canali per esprimersi. Questa gente deve considerarci un po’ scemi. La narrazione che ci propina mortifica l’intelligenza. Passi per gli oppositori, che da Berlusconi in qua chi non salta comunista è e anche coglione. Ma non c’è rispetto nemmeno per i seguaci che, pur avendo gravemente peccato, avrebbero diritto di sapere come stanno le cose. «Salve o popolo di eroi», cantava la gioventù italiana del littorio. E cosa gli racconti, al popolo di eroi? Che se l’inflazione cala un po’ è merito di Giorgia Meloni e non di Christine Lagarde, che la benzina non costa poi tanto, che contrasti l’evasione coi condoni, che vuoi eliminare il lavoro povero, che aiuti i bisognosi, che tutto va ben madama la marchesa perché «siamo finalmente in Italia» come dice l’incredibile Urso? E prima dove eravamo, che si andava al mare a Cesenatico e adesso ci tocca l’Albania. Non sarà solo colpa di questo Governo, come del resto l’arrivo degli immigrati, il cambiamento climatico, il debito pubblico e tutto il resto, ma neanche solo e sempre dei governi passati. Quando viene il vostro turno di pagare dazio? Che finora non ci avete messo un euro, falsificando la storia col racconto che ha sempre governato la sinistra quando nei 31 anni della seconda repubblica il Pds-Ds-Pd ha abitato le stanze del potere per 14 anni, Forza Italia per 12, la Lega per 7 e An-FdI per 8.
L’underdog Giorgia Meloni è stata al Governo più di Massimo D’Alema. Senza percepibili risultati. Né allora né ora. Se non quello, nell’intento di affermare una egemonia della destra illiberale, di ridar voce al peggio, rimasto annidato fra le pieghe di una società e di apparati pubblici che hanno negato accoglienza più ai comunisti che ai fascisti. È storia. L’on. Donzelli, la versione maschile mal riuscita di Giorgia Meloni, si erge a paladino del Gen. Vannacci. Per parte nostra difendiamo il diritto di chiunque, foss’anche un idiota, di manifestare il suo pensiero. Rivendichiamo nel contempo il diritto di dire che le stronzate sono stronzate. Qualcuno, visto che se ne dicono tante, dovrà pur rivelarne la natura. Per non incorrere nello sgradevole equivoco gastronomico cantata da Mina: «Ma che cos’è questa robina qua? Cioccolato svizzero? Cacao della Bolivia? Cacca?!?».
Quest’idea di una Meloni virtuosa e però dissociata dai suoi fratelli incapaci mica mi ha mai convinto. Sarà che loro hanno scelto lei e lei ha scelto loro, che vorrà pur dire qualcosa. Sull’idem sentire che li accomuna. E sulla capacità del Principe che, scrive Machiavelli, si manifesta in primo luogo nella scelta dei suoi consiglieri. Sembra di stare ai tempi di Stalin, che se le cose andavano per il verso giust il merito era del Piccolo Padre, mentre se accadevano cose criticabili, e ce ne sono state di orribili, la colpa era dei collaboratori. Metteteci una Piccola Madre, il mito del Capo, e siamo lì.
Giorgia Meloni non è diversa, è solo più abile, non è cambiata, è solo mimetizzata. Resta Trumputiniana nell’anima ma il lasciapassare atlantico val bene una messa con Biden. Non così dissimile da quella che «Giuseppi» Conte celebrava con l’amico americano Donald. A tutti i piccoli piace dormire nel lettone coi Grandi. Cose orribili, finora, il Governo Meloni non ne ha fatte. Lo sarebbero state quelle annunciate ed è un bene che non abbia tenuto fede alle promesse.
Se potesse farebbe ancora il blocco navale e non è il caso di rimproverarglielo, specie se non hai proposte da fare. A determinarne le mosse è più la necessità che la virtù. Di cose buone, in compenso, a parte quel ritocco al cuneo fiscale, io non ne vedo. Anche il Pil va come può, malgrado le iniezioni ricostituenti coi soldi del Pnrr. Che il covid ha generato, Conte ha portato a casa, Draghi ha indirizzato e Meloni ora si intesta. Senza di essi il Governo sarebbe già in affanno. Con essi galleggia. Niente più. Il resto è millantato credito. E sconsiderato accredito. Di una sensibilità sociale che qualche intellettuale di sinistra ha creduto di ravvisare. In una retorica populista che regala parole ai poveri e dispensa favori ai soliti, squilibrando ancor più gli assetti di una società ineguale. Intanto la sanità generalista muore.
«Destra sociale Giorgia Meloni non lo è mai stata» testimonia Gianni Alemanno, che è persona informata dei fatti. Sia messo agli atti.