Disegno di legge Sicurezza: democrazia o democratura?

Emma Albonetti - Con le intifada studentesche a supporto del popolo palestinese e le numerose manifestazioni di dissenso portate in piazza nell’ultimo anno, in Italia abbiamo assistito ad un nuovo apice di scontri tra autorità statali e cittadini militanti. Malgrado le immagini di giovani bistrattati dalle forze dell’ordine abbiano circolato profusamente, il Governo attuale ha deciso di imporre un disegno di legge che non solo costituisce un tentativo di minare le voci dissenzienti, ma soprattutto va a tutelare coloro che perpetrano un abuso della propria autorità. La natura liberticida del nuovo Ddl Sicurezza 1660 non è un messaggio intimidatorio passeggero, ma un atto che legalizza il consolidamento di uno stato di polizia, che va formandosi da decenni. Basti pensare a quanto le manganellate contro la mobilitazione studentesca di Pisa dello scorso febbraio abbiano risollevato i fantasmi del G8 di Genova del 2001, per cui lo Stato italiano subì delle condanne in sede civile. Più recente è il tentativo del Governo di vittimizzare i corpi di polizia, proponendo di abrogare la tanto auspicata legge sulla tortura del 2017, poiché definita troppo restrittiva, con conseguenti appelli da parte di associazioni come Antigone. Nel Decreto Sicurezza viene poi resa facoltativa la body cam (art. 21) e, nonostante le sollecitazioni di Amnesty, non ci sono stati provvedimenti per l’inserimento di codici identificativi a tutela della trasparenza. La mozione prevede inoltre inasprimenti delle pene e nuove fattispecie di reati che criminalizzano atti di rimostranza: i blocchi stradali, l’opposizione a opere pubbliche (legge ad hoc a protezione del progetto del ponte sullo stretto di Messina) così come le rivolte, anche passive, all’interno di istituzioni penitenziarie, sono punibili a titolo di illecito penale. Per usare l’analogia della rana bollita di Noam Chomsky, siamo sottoposti a continue tecniche di manipolazione di massa, che mirano a inibire la nostra percezione della realtà, che si dimostra essere una pentola di acqua bollente in cui ogni conflitto muore e con lui la libertà. Troppo spesso dimentichiamo infatti che dalla disobbedienza civile si leva il cambiamento e che le divergenze sono segno di una società sana in cui perdura la libertà di opinione, degna di uno stato di diritto, quale l’Italia si dichiara.