Castoro, fermo in Parlamento il riconoscimento per la «Giornata per le vittime del colonialismo italiano»

Arua Charfi - Il 19 febbraio potrebbe diventare una data simbolica nel calendario civile italiano. Nel 2023 è stata presentata in Parlamento la proposta di legge Yekatit 12, con l’obiettivo di istituire una Giornata della Memoria per le vittime del colonialismo italiano. L’iniziativa, sostenuta da forze come il Partito Democratico (prima firmataria Laura Boldrini), il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, non è ancora stata discussa né approvata, ma ha già suscitato un dibattito pubblico e l’adesione di diverse realtà locali. In particolare, il Comune di Roma ha approvato una mozione per commemorare questa data. Il nome Yekatit 12 si riferisce al calendario etiope e corrisponde al 19 febbraio 1937, giorno in cui, ad Addis Abeba, si consumò una delle stragi più brutali e meno conosciute della storia coloniale italiana. In seguito a un attentato contro il viceré Rodolfo Graziani, l’esercito coloniale italiano reagì con una rappresaglia indiscriminata. Per tre giorni, dal 19 al 21 febbraio, quartieri interi furono incendiati e migliaia di civili -uomini, donne, bambini- furono uccisi per strada, nelle case e nei luoghi di culto. Secondo Alberto Fuschini, laureato in storia contemporanea e attuale presidente della sezione Anpi di Faenza, «fu un massacro senza precedenti, una reazione spropositata. Questo episodio è emblematico di una serie di violenze durante tutta la guerra coloniale scoppiata nel 1935». I media di regime tentarono di occultare l’accaduto, ma oggi, grazie a testimonianze dirette e agli studi di storici come Angelo Del Boca, la vicenda è emersa con maggiore chiarezza. Le stime delle vittime variano: Angelo Del Boca parla di circa 3.000 morti, Giorgio Rochat di 6.000; secondo lo storico Ian Campbell, che tiene conto anche delle esecuzioni successive ai danni dell’élite etiope, i morti furono circa 19.000. La memoria etiope, invece, parla di almeno 30.000 vittime. La proposta di legge nasce anche dal lavoro della rete Yekatit 12-19, formata da collettivi, associazioni e singoli impegnati nel far emergere la memoria rimossa del colonialismo italiano. Ogni anno, nella settimana tra il 12 e il 19 febbraio, la rete promuove iniziative pubbliche in tutta Italia, per ricordare il massacro di Addis Abeba del 1937 e riflettere sulle responsabilità storiche del nostro Paese. Tra le realtà che sostengono questa battaglia c’è anche l’Anpi, da sempre attenta alla difesa dei valori antifascisti e della memoria storica. «L’obiettivo -spiega Fuschini- è far emergere ciò che è accaduto, perché nel dibattito pubblico italiano se ne parla ancora molto poco e per anni non se n’è parlato affatto». Tuttavia, nonostante l’importanza della proposta, la legge Yekatit 12 è rimasta bloccata in Parlamento e la sua discussione sembra tuttora lontana. Per la deputata del Partito Democratico Ouidad Bakkali, non è solo una questione numerica: «È una legge d’iniziativa parlamentare presentata dall’opposizione, che è in minoranza e dubito verrà calendarizzata. Tutto ciò che rimanda all’epoca fascista incontra ancora oggi una forte resistenza da parte della maggioranza e della stessa Presidente del Consiglio, che non ha mai davvero fatto i conti con il Ventennio». La rimozione, precisa Bakkali, non è affatto una semplice svista istituzionale: lo stallo della proposta riflette una difficoltà più profonda, che ha a che fare con la storia e l’identità politica di certa destra italiana. «In Parlamento giacciono decine di proposte dell’opposizione, che probabilmente non verranno mai discusse. Ma in questo caso la questione è più delicata: questa proposta tocca un passato che alcuni partiti al governo non hanno mai affrontato fino in fondo. Le loro radici politiche non si sono mai distinte per una condanna netta del fascismo. È per questo che dubito possa essere istituita una giornata della memoria sul colonialismo». «Dopo la Seconda guerra mondiale -osserva Fuschini- l’unica narrazione ammessa era quella dei reduci, che presentavano il colonialismo come un’azione positiva, civilizzatrice», alimentando il celebre ma falso mito degli «italiani brava gente». Questa visione ha portato a una semplificazione del passato, riducendo la storia a un banale binomio di «buoni contro cattivi». La deputata Ouidad Bakkali sottolinea pertanto l’importanza di un lavoro storico serio, per evitare di cadere in queste semplificazioni. «Bisogna partire dalla verità storica -afferma- affidarsi alle fonti, ricostruire i fatti, studiare le stragi e gli eccidi compiuti in Eritrea, in Etiopia e altrove. Solo così possiamo liberarci dalle semplificazioni e riconoscere il colonialismo per quello che è stato, individuando anche le sue eredità nelle forme di neocolonialismo ancora oggi presenti». Quando non affrontiamo la verità storica, ci esponiamo al rischio di perpetuare forme di razzismo istituzionalizzato: «Un approccio che si fonda su falsi storici, che nega la voce alle vittime -aggiunge Bakkali- e decide che solo una versione della storia ha diritto di esistere, mentre quella delle popolazioni colonizzate o dei loro discendenti viene sistematicamente ignorata». Accanto alla violenza militare, il colonialismo italiano ha infatti portato con sé una serie di pratiche devastanti: leggi discriminatorie, deportazioni, campi di concentramento, utilizzo di armi chimiche come l’iprite, vietata dalle convenzioni internazionali e ha prodotto conseguenze che ancora oggi si manifestano in forme diverse, dalle crisi geopolitiche ai flussi migratori, dalle disuguaglianze economiche al razzismo. Il colonialismo italiano ha creato fratture profonde, che continuano a influenzare anche i rapporti tra comunità diverse. «Basti pensare all’odio che ancora oggi, in Libia, viene rivolto verso i neri -sottolinea Fuschini- un rancore che affonda le radici nella strategia coloniale italiana, che durante l’occupazione mandò soldati eritrei a combattere contro i libici, alimentando divisioni e ostilità in contesti dove prima non esistevano». La proposta di legge Yekatit 12 non intende riscrivere la storia, ma iniziare a ricordarla davvero, comprendendo quanto l’Italia, anche nei rapporti internazionali e nel dibattito sull’immigrazione, sia ancora condizionata da una lettura autoassolutoria del suo passato coloniale.