Bassa Romagna, Alfonso Nadiani racconta la storia degli Amici del teatro di Cassanigo: «50 anni di dialetto mai becero o volgare»

Elena Nencini
E’ nata negli anni ‘70 la compagnia Amici del Teatro di Cassanigo, ma le sue radici risalgono alla fine dell’Ottocento quando in parrocchia si tenevano delle recite per soli uomini. Spettacoli che si sono tenuti anche nel Novecento, prima e dopo le due guerre mondiali. Finché negli anni Settanta viene fondata la compagnia teatrale parrocchiale, che il 1° maggio 1975 troverà sede nel circolo Anspi S. Luigi Cassanigo. A fondare la compagnia Alfonso Nadiani, appassionato di dialetto e di teatro, che si è occupato dei copioni e della regia per questi 50 anni, ma che spera presto di poter passare il testimone ai giovani. Nadiani collabora da tempo con l‘Istituto Friedrich Schurr sia per le pubblicazioni dello storico mensile “La ludla” che per il progetto «Romagna Slang». Giovedì 1 maggio si terrà, in parrocchia una giornata per ricordare il debutto della compagnia. Dopo la messa e il pranzo proiezione del docu-film “2005-2025, 20 anni con Francesco Minarini”.
Come è nata la compagnia Nadiani?
«Inizialmente quando abbiamo cominciato mettevamo in scena dei testi in italiano, sacre rappresentazioni, varietà, recital. Negli anni Ottanta ci siamo specializzati nel dialetto romagnolo diventando una compagnia di giro. Facevamo una settantina di rappresentazioni in tutta la Romagna, da Rimini ad Imola, con qualche data in Emilia e fuori regione».
Quanti siete oggi?
«Una quindicina di persone, animiamo anche la parrocchia per le festività religiose più importanti come Pasqua e Natale. Chi è passato da Cassanigo è passato dalla nostra compagnia, su 400 abitanti almeno 300 ci hanno frequentato. Per i ragazzi siamo stati un importante punto di riferimento».
Cosa rappresenta oggi il dialetto?
«La commedia in romagnolo è sicuramente il portabandiera del nostro dialetto. Mi piace vedere che a teatro ci vengono a vedere anche i giovani che sono il nostro futuro. L’esperienza con “Romagna Slang”, oltre 100 puntate, resterà visibile in rete. Il teatro però resta la migliore maniera per trasmetterlo. La nostra compagnia si è sempre distinta nella scelta di testi che non fossero solo divertenti, ma facessero anche riflettere, senza scadere nel becero o nel volgare».
Chi sono i ‘campioni’ del dialetto?
«Non tutte le compagnie dialettali sono preparate, il dialetto deve far ridere ma deve essere corretto, filologico. Non usare delle parole a casaccio. Personaggi come Ivano Marescotti, ma anche Denis Campitelli e Marco Martinelli sono stati dei grandi. Nevio Spadoni per la poesia. Mi auguro che le compagnie teatrali lavorino di più sui testi. Ci sarebbe un grande futuro».
Progetti per il futuro?
«Continuerò a lavorare per il teatro, ma spero che Cristina Vespignani raccolga il testimone e porti avanti la compagnia. E’ importante che non muoia. Adesso abbiamo in programma tre date a Faenza al Teatro dei Filodrammatici con «Che sgnurón… ad’ che sgrazié, d’mi zèj Jusafi». Da giugno poi partirà la tournè estiva di “Tè cun al tu canzunèt, mè cun i mì fet in dialèt!” con Vittorio Bonetti».