Vela, il reportage di Vettese da Auckland: "La mia Coppa America, dal Bagno Romea all’impresa sfiorata quest’anno da Luna Rossa"

Romagna | 05 Aprile 2021 Sport
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È giunto il momento di archiviare definitivamente quella che è stata la 36a America’s Cup. Un’edizione unica per il momento particolare che l’intero globo vive nonostante l’oasi felice neozelandese. Un’edizione storica per il risultato ottenuto dal consorzio italiano di Luna Rossa Prada Pirelli che ha costretto milioni di italiani a puntare la sveglia in piena notte consegnando loro, come souvenir, profonde occhiaie nelle giornate di lavoro, studio o lezione. Un’edizione “ravennate” per la ricca presenza di eccellenze del territorio di Ravenna in terra kiwi. Tra queste Antonio Vettese, celebre giornalista del panorama velico nazionale e membro del consiglio direttivo del Circolo Velico Ravennate nonché Press Officer per Challenger of Record COR36 ad Auckland, che ha scritto in esclusiva per Setteserequi una sorta di reportage/diario dalla Nuova Zelanda nel quale racconta gli ultimi mesi vissuti dall’altra parte del mondo.

 Antonio Vettese*
La mia Coppa America inizia al bagno Romea all’inizio degli anni ‘80. Appena conquistata la moto BMW 75/7, si stava a fare i gigioni in spiaggia, tra surf, bikini e qualche timido gin tonic. La pace romagnola di quei pomeriggi senza tempo veniva turbata dalla visione dell’albero di un 12 metri stazza internazionale che dal largo si dirigeva in porto. Più o meno, partendo in tempo riuscivo ad arrivare a Porto Corsini per vedere i ragazzi di Azzurra al rientro dall’allenamento. Era una immagine magica, che ha anche segnato il destino di una passione indelebile. Da quelle corse sul molo del Candiano sono arrivato, dopo oltre 40 anni, ad Halsey Wharf ad Auckland, che nasce dove nel 1851 era stato creato il primo Vinyard Wharf, dedicato al traffico del legno e fonte di ricchezza per la Nuova Zelanda. In mezzo tante avventure: San Diego e il suo Motel Outrigger vicino al Cantiere Driscoll dove era la base del Moro di Venezia, Auckland con l’appartamento qualche piano sotto quello di Dennis Conner (velista statunitense vincitore di quattro America’s Cup che gli valsero il soprannome di Mr. America’s Cup, ndr), che era bene non incontrare in ascensore. Valencia, San Francisco, Bermuda. Ad Auckland ho lasciato la penna di giornalista che mi ha accompagnato per tanto tempo e sono stato Press Officer per Cor36, la società che ha organizzato le regate della Prada Cup e che ha gestito il Media Centre. Un cambio di lavoro notevole che mi ha precipitato in dinamiche dove la competizione sull’acqua si è propagata in ogni piccolo settore, anche dove non era necessario e quindi anche dove avremmo solo dovuto pensare al pubblico, ad avere belle rassegne stampa.  Intanto vi scrivo la riposta alla domanda ovvia sulle prestazioni di Luna Rossa: sì, poteva vincere anche se con un margine ristretto. Non sarebbe stato impossibile trovarsi sul 5-4, due regate si potevano vincere: quella della caduta dai foil, quella in cui i nostri eroi sono andati a sinistra e sulla destra Emirates Team New Zealand ha preso una raffica di intensità e direzione troppo favorevoli. A quel punto il campo neozelandese, che già era sorpreso del pareggio sul 3-3, si sarebbe scomposto e innervosito, i giornali avrebbero cominciato ad attaccare. Insomma, si poteva aprire una finestra per la vittoria. D’altra parte, è vero che erano più veloci, anche nell’andatura che doveva essere la preferita di Luna Rossa, vento debole. Te Rehutai era più veloce? Sì, Francesco Bruni ha detto «come far fuori un pesce tenendolo sott’acqua». Perché era più rapida? Come sempre i kiwi sono andati avanti con il progetto. La loro era la unica barca della generazione 2.5 se non 3. Dopo il suo varo le altre sono invecchiate all’istante. L’atmosfera di Auckland era molto diversa da quella del 2000 o del 2003: allora la Coppa America era davvero amata. Quest’anno si può dire che destava curiosità non certo l’entusiasmo dedicato a Sir Peter Blake a Coutts. Erano più personaggi loro, ma c’era anche una risposta diversa da parte della città. Vero, il Covid ha cambiato le carte in tavola, ha impedito gli arrivi dei turisti: ma non sarebbero stati un migliaio di sbiellati europei a costruire indotto economico. Qualche piccola frazione. Le critiche sono più sottili. Negli ultimi anni c’è stata una grande azione per restituire ruolo alla popolazione originaria Maori, cui per esempio, sono state restituite delle terre (alcune sono divenute sacre, altre opportunamente vendute): insomma la vela è uno sport per ricchi bianchi, non ha diritto di chiedere finanziamenti anche per i grandi eventi. Il risultato è che tra la modestia dimostrata in questa edizione nella organizzazione (Prada Cup era un’altra cosa) e la poca risposta delle comunità locali forse è meglio che la Coppa non sia più disputata in Nuova Zelanda. I velisti sono anche bravi e i migliori del mondo, ma organizzare un grande evento internazionale è un’altra partita. Non credo che in Italia si sia avuta questa percezione, sommersi di televisione. Ed è anche una situazione difficile da capire. Cosa succederà nei prossimi mesi? Speriamo che si formi un comitato organizzatore che possa lavorare in maniera autonoma senza il pressante controllo del Defender e con in mente lo spettacolo e non la vittoria».

(*membro del consiglio direttivo del Circolo Velico Ravennate e Press Officer per Challenger of Record COR36 ad Auckland)
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