Ravenna, processo Cagnoni, il padre Mario racconta alla corte la sua verità
Con una lunga testimonianza, il padre di Matteo Cagnoni, Mario, il 2 febbraio, ha risposto a domande di accusa e difesa, nella dodicesima udienza del processo che vede il figlio alla sbarra con l'accusa di aver ucciso a bastonate la moglie Giulia Ballestri il 16 settembre 2016. Molti "non ricordo" ed una "verit" non sempre lineare è emersa dal racconto dell' 87enne del frenetico weekend in cui a Ravenna si cercava Giulia mentre a Firenze, dove Matteo Cagnoni era andato dai genitori con i tre figli, il sistema di videosorveglianza della villa registrava "strani" spostamenti in giardino. L'accusa, mostrando diversi video che lo ritraggono scaricare materiale dal portabagagli dell'auto e poi occultarlo dietro una siepe, ha tentato di dimostrare come Mario che spesso viene ripreso accanto a lui abbia aiutato il figlio ed ha chiesto più volte cosa vi fosse nel bagagliaio. "Non lo so- ha spiegato Mario: spesso Matteo veniva a Firenze con vestiti da dare alla Caritas che mia moglie non voleva portare all'interno della casa, pertanto li lasciava in alcuni sacchetti dietro la siepe, prima di portarli via". L'uomo ha raccontato che sapeva che il figlio e la nuora si stavano separando, che ne aveva parlato più volte con Giulia con la quale aveva un rapporto paterno e che era a conoscenza che il figlio aveva venduto diversi immobili al fratello. "Pensavo l'avesse fatto per avere una posizione preponderante su Giulia in sede di divorzio, anche se non ne capivo il motivo visto che sapevo che sarei stato sempre e comunque io che avrei aiutato economicamente i miei nipoti". Mario Cagnoni ha spiegato di essere andato a Bologna con il figlio, il pomeriggio di domenica 18 settembre, qualche ora prima che Giulia venisse trovata morta, perchè Matteo voleva consultarsi con l'avvocato Trombini per capire se l'abbandono del tetto coniugale poteva essere considerato penalmente illecito, in sede di separazione. "Da tre giorni i bambini provavano a chiamare Giulia, ma il telefono squillava a vuoto, i consuoceri ci avevano informato che la stavano cercando. Pensavamo ad un allontanamento volontario e la polizia ci aveva telefonato per chiedere a Matteo di andare a Ravenna a controfirmare la denuncia di scomparsa". Alla richiesta del Pm D'Aniello sul perchè, tornati da Bologna, il figlio non fosse andato a Ravenna, Mario Cagnoni ha risposto che era già passata mezzanotte, Matteo era stanco e si era accordato con la polizia di presentarsi in Questura lunedì mattina presto. "Non c'era premura di rientrare" - ha sottolineato Cagnoni. "Certo, dipende dal grado di preoccupazione che si ha"- ha rimarcato il Pm. Sui due cuscini verdi della villa dove Giulia venne uccisa che la Scientifica trovò nella cantina della casa fiorentina, Mario Cagnoni ha dichiarato che appartenevano a due poltroncine di valore degli anni '30 dell'abitazione in via Padre Genocchi e che il figlio li aveva portati a Firenze visto che erano sporchi, per farli lavare in una lavanderia specializzata. Non è, però, riuscito a spiegare come mai due cuscini di valore non siano stati messi in casa, ma siano stati buttati in una cantina in mezzo a barattoli di vernice ed attrezzi da giardiniere. In chiusura il pm D'Aniello, facendogli sentire alcune intercettazioni telefoniche tra Mario Cagnoni, familiari ed amici, ha chiesto delucidazioni su alcune affermazioni del padre dell'imputato che ne parla sempre come colpevole. "Questi sono episodi di pazzia, roba da Freud, non nostra" dice al fratello Giorgio. "E' stato un eccesso di rabbia?" gli chiede il figlio Stefano e lui annuisce poi riprende "Si dice che non è vero, che è stato qualcuno da fuori". Alla corte Cagnoni ha spiegato che l'intervento di un albanese che avesse ucciso Giulia era la spiegazione che si davano dell'accaduto.