Impresa donna, Lara Gallegati alla guida della Somec: "Esportiamo bici nel mondo"
Silvia Manzani - Il primo ricordo che Lara Gallegati, 43 anni, ha della Somec, fondata dal padre Oliviero nel 1973 a Sant’Agata sul Santerno, è il bagno: «Una volta, da bambina, rimasi chiusa dentro e nessuno riusciva a sentire che bussavo, a causa dei rumori dell’officina». Ma il bagno ha avuto, nel tempo, anche un altro significato: «La mia prima attività in azienda è stata pulire il bagno - ricorda sorridendo -. Fino a che, nel 2004, sono diventata socia, affiancando quindi mio fratello Marco e nostro padre alla guida di questa piccola impresa». Con otto dipendenti e una conduzione familiare, però, la Somec è diventata una vera eccellenza dell’artigianato, non solo in Italia: «Produciamo biciclette da corsa su misura, esportiamo soprattutto in America, Inghilterra, Belgio e Olanda e abbiamo un’ottima reputazione mondiale per quanto riguarda il vintage. Quelli esteri non sono mercati facili, c’è tanta concorrenza. Ma ci hanno consentito di salvarci rispetto ad altre aziende. Perché il prodotto artigianale italiano piace ancora, per fortuna».
Negli ultimi anni, il target si è allargato anche grazie alle mountain bike elettriche, che hanno avvicinato al ciclismo anche chi non aveva mai praticato questo sport. E le soddisfazioni sono arrivate anche dal punto di vista prettamente sportivo, grazie alle materie prime eccellenti e alla qualità del prodotto: «Ottimi risultati sono stati raggiunti dalla Somec Mg K Vis, il team femminile amatoriale ma nazionale che da tempo sosteniamo».
A proposito di donne, la titolare ammette di non avere mai vissuto grosse difficoltà per il fatto di essere un’imprenditrice: «Credo che le problematiche dell’imprenditoria siano uguali per tutti, a prescindere dal genere. La professionalità e la preparazione, nel mio caso, hanno sempre pagato. Anche quando ero giovane e andavo alle prime fiere. Questo settore, che quando ho iniziato io era ancora abbastanza maschilista, è poi molto cambiato negli anni: la presenza delle donne si è fatta più importante e certi muri sono venuti meno».
Certo è che stare a capo di un’azienda, per quanto piccola, ha le sue controindicazioni: «Io amo il mio mestiere, sono sempre entusiasta quando arrivo la mattina e cerco di trasmettere positività e intraprendenza a chi lavora con me. Le rinunce ci sono, come è normale che sia: avrei voluto, quando mia figlia che oggi ha tredici anni era piccola, seguirla di più. E invece dovevo stare in ufficio. Non è facile, poi, lavorare insieme quando si fa parte della stessa famiglia: questioni lavorative e personali si sovrappongono, gli equilibri sono difficili da mantenere, i conflitti e le crisi non mancano. Per questo vorrei che mia figlia seguisse un’altra strada: a essere sia genitori che datori di lavoro si rischia di essere troppo soffocanti o, al contrario, troppo permissivi. In Italia siamo molto legati all’idea del passaggio generazionale: negli Stati Uniti, al contrario, si tende a incentivare la vendita delle imprese. Per ora non mi pongo il problema: ci penserò quando sarà il momento».