IL CASTORO | L’istruzione in Italia fatica e il dialogo con le aziende è deficitario

Romagna | 25 Marzo 2021 Blog Settesere
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Anna Sofia Scheele

La scuola in Italia è ancora vecchio stampo rispetto ad altri paesi europei. Non sono solo le infrastrutture, i materiali o l’uso della tecnologia a segnare questo divario, ma lo è in primis il metodo di insegnamento. La lezione viene tenuta perlopiù in modo tradizionale, ovvero frontalmente, da professori che faticano ad abbandonare la logica di un rigido programma ministeriale al quale attenersi. La scuola rischia così di ridursi a una corsa contro il tempo e gli studenti finiscono per essere cervelli ambulanti da riempire di conoscenze, piuttosto che esseri pensanti, da stimolare in una libera evoluzione del pensiero critico.

Eppure il sistema scolastico italiano è considerato molto efficiente, in grado di dare una buona preparazione e un’ampia cultura generale, tanto da generare leggende come quella secondo cui un qualunque datore di lavoro negli Stati Uniti assumerebbe subito un candidato che presenti un diploma italiano.

Non c'è modo migliore per scoprire se queste credenze sono fondate che chiedere agli studenti, i quali vivono la scuola tutti i giorni. Abbiamo perciò effettuato un sondaggio su 76 alunni di vari istituti superiori italiani e ne è emerso che, in generale, essi sono contenti delle scuole che frequentano. Su una scala di punti da 1 a 5 (nella quale 1 è il punteggio minore e 5 il maggiore) il 40,9% degli studenti ha dato il voto massimo, in termini di soddisfazione, al percorso d’istruzione da loro scelto e un altro 31,8% ha votato 4.

La scuola italiana presenta una vasta offerta formativa nell’educazione di secondo grado, dividendosi tra licei, istituti tecnici e professionali, che a loro volta offrono possibilità diverse. Inoltre la scelta della scuola superiore non avviene subito dopo le elementari, all'età di 10 o 11 anni, come in altri paesi europei, ma successivamente alle scuole medie. Questo vuole dire che i ragazzi hanno più tempo per maturare la loro decisione e scegliere quale percorso di studi vogliono intraprendere.

Il problema in realtà sta nel fatto che una volta fatta la scelta dell’istituto secondario, il suo piano di studi è così specifico che risulta molto difficile cambiare percorso dopo i 14 anni o anche una volta usciti dalla scuola. Inoltre, per uno studente di un istituto professionale risulta molto difficile frequentare l'università, ma la stessa cosa vale anche per un liceale che non ha intenzione di proseguire gli studi, poiché farà fatica a trovare lavoro in ambito non accademico.

Il 59,1% del campione degli studenti preso in esame è convinto (hanno votato 5) del fatto che l'università sia inevitabile, per ottenere in futuro delle buone offerte lavorative e questo porta a un altro problema, ovvero la mancanza, in Italia, di professionalità tecniche specializzate. Un mese fa ha fatto un riferimento a tale carenza anche il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, quando ha osservato che gli Its, istituti tecnici superiori, un centinaio al momento su tutto il territorio nazionale, sono «pilastri educativi» del paese e pertanto vanno implementati. Tuttavia gli istituti tecnici e professionali e il percorso lavorativo che ne segue vengono ancora visti come meno importanti o prestigiosi di un liceo e di una carriera accademica e ciò scoraggia sia i ragazzi, nel momento in cui devono scegliere il loro percorso, sia i datori di lavoro quando leggono un curriculum.

Gli studenti intervistati sono d’accordo sul fatto che la scuola italiana dà una vasta cultura generale e molti trovano le lezioni stimolanti. Il problema però è che il famoso programma «da completare» per una decina di materie è molto vasto e viene costantemente valutato con verifiche e interrogazioni. Ciò rischia di favorire un sistema in cui i voti diventano la cosa più importante, se non talvolta un’ossessione e si trascura così l’obiettivo principale che dovrebbe essere imparare, non collezionare numeri in una pagella. Tanti alunni infatti desiderano un approccio diverso rispetto alle valutazioni e una mentalità più aperta nei docenti, che miri a stuzzicare l’interesse delle classi.

Molti studenti si sentono sotto pressione prima delle verifiche e alcuni soffrono d’ansia o addirittura di attacchi di panico ed è chiaro che uno stato d’animo simile influisce sulla voglia di andare a scuola, oltre che sulla salute mentale. Nonostante le pecche, il sistema scolastico italiano ha molti aspetti buoni, ma ce ne sono ancora tanti sui quali è urgente intervenire: farlo significherebbe creare una scuola dove sarebbe un piacere recarsi e ciò influirebbe positivamente su tutta la società, non solo sui ragazzi. Forse bisognerebbe partire ascoltando proprio i loro suggerimenti.

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