Formula 1, lo storico inviato Rai Ezio Zermiani racconta storie e aneddoti su Imola: "Il Santerno è magia, sembra Wembley: che feeling con Senna, Piquet e Minardi"

Romagna | 17 Aprile 2021 Sport
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Luca Alberto Montanari
Il 3 luglio taglierà un traguardo di assoluto prestigio: 80 anni tondi, portati meravigliosamente. Ezio Zermiani, nel suo «buen retiro» di Bolzano, si rilassa placidamente dopo aver speso gran parte della sua vita in giro per il mondo, a raccontare dai box il Mondiale di Formula 1 in qualità di inviato Rai. Dal 1982 al 1998 è stato il braccio destro dello storico telecronista Mario Poltronieri e di Gianfranco Palazzoli, introducendo le interviste ai piloti dalla griglia di partenza e diventando ben presto un punto di riferimento per tutti gli appassionati di automobilismo. Zermiani ci metteva la voce ma anche la faccia, con il suo storico baffo «sale e pepe» che entrava nelle case di tutti gli italiani al fianco di tanti fuoriclasse dell’epoca, a cominciare da Nelson Piquet ed Ayrton Senna, con i quali Zermiani aveva un feeling particolare. Dopo aver lasciato la pit-lane da inviato Rai, dal 2007 al 2009 il giornalista alto-atesino è stato anche capo ufficio stampa proprio dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola, dove nel weekend torna il Mondiale con il secondo appuntamento della stagione, il primo in Europa.
Zermiani, lei lo conosce perfettamente. Cosa rappresenta il circuito di Imola nel Mondiale di Formula 1?
«Un unicum in tutto il calendario, un circuito meraviglioso che non ha eguali. Innanzitutto, dal punto di vista logistico è in posizione perfetta: vicino all’autostrada ma anche in centro città, pur non essendo un circuito cittadino. E’ comodo, affascinante, facilmente raggiungibile. Volendo azzardare un paragone con il calcio, per me Imola sta alla Formula 1 come il mitico Wembley al calcio, assomiglia tantissimo a uno stadio inglese, dove senti il fiato di chi fa la rimessa in gioco trovandoti magari a due metri dalla panchina. A Imola un Gran Premio lo vivi come si vive una partita di calcio in Inghilterra, praticamente è come avere un paddock in città. Dal punto di vista squisitamente tecnico, invece, per un pilota sono decisivi i saliscendi. Mancando i rettilinei importanti, come quelli di Monza, Imola diventa un circuito molto più guidato. Per questo motivo i piloti si divertono di più e anche l’anno scorso, chi non aveva mai guidato a Imola, ha dimostrato di gradire».
Quali sono i suoi ricordi più belli ed emozionanti legati al Santerno?
«A Imola non ho mai saltato un Gran Premio, quindi ce ne sarebbero davvero tanti. Ma posso dire innanzitutto i siparietti e il legame fortissimo con Nelson Piquet, un pilota molto affezionato a Imola, che all’Enzo e Dino Ferrari si sentiva a casa. Personalmente, quando entravo in quel circuito vivevo un’altra vita parallela, nel senso che staccavo la spina da tutto e per alcuni giorni rinascevo dentro questo splendido autodromo. Respiravo tutto, ascoltavo, osservavo, ammiravo, studiavo. Nei miei anni i piloti avevano più tempo libero da dedicare alle relazioni umane e tutto questo era meraviglioso. Per me Imola è magia. Piquet resta il pilota con cui ho legato di più: Nelson era un ragazzo molto furbo, aveva un istinto naturale, era un animaletto, sapeva che la tensione era massima, ma si lasciava intervistare fino a dieci secondi dal giro di ricognizione prima di infilarsi in auto».
Sui ricordi più brutti, purtroppo, non possiamo non ricordare il Gp di Imola del 1994.
«Già, il tragico weekend del 1994 è la grande macchia. Ricordo le sei ore di trasmissione, con una tristezza dentro che ancora oggi fatico a descrivere. Ero molto amico di Senna, che a sua volta era il «nemico» di Piquet. Ma io li amavo entrambi e loro amavano me indistintamente. Ayrton era morto sul circuito, ricordo le tracce di sangue, come se fosse stato colpito da un proiettile in un film. Mi ero reso conto che non c’era nulla da fare, ma the show must go on. Dovevamo andare avanti e, purtroppo, siamo andati avanti. E’ stato un pomeriggio devastante perché avevamo un rapporto molto forte e Imola era il nostro cordone ombelicale, che ci legava. Senna era magico, proprio come il circuito».
Il circuito di Imola non può non essere collegato a un altro nome: Minardi.
«Pur con possibilità economiche molto ridotte rispetto ai colossi, Gian Carlo ha funzionato perché ha saputo interpretare, come nessuno al mondo, lo spirito della Formula 1 raggruppando tutto sotto un unico box. E per tutto intendo la simpatia e l’ospitalità, la scoperta dei talenti e i risultati. In Gian Carlo traspariva la passione al di là di qualsiasi tipo di ritorno di carattere economico. Reincarnava perfettamente la Romagna grazie alla sua genuinità e alla sua passione. Trovare oggi una figura così, con questo spessore umano, è impensabile, perché oggi comandano esclusivamente tecnologia e soldi, per ospitalità e passione è meglio passare più avanti o guardare indietro e proprio per questo Minardi era una mosca bianca. Al Minardi Day, tanto per fare un esempio, non c’è nessuno che non voglia andare, perché si respira un senso di riconoscenza straordinario. Non solo amicizia, ma riconoscenza. E poi non dimentichiamo il lato squisitamente sportivo».
In che senso?
«Beh, i piloti più forti sono tutti passati da lui, tranne Senna. Che gli aveva promesso che avrebbe chiuso la carriera con Gian Carlo. Evidentemente Minardi non è stato solo una brava persona, ma anche un grandissimo talent scout».
Oggi la Minardi non esiste più, ma Faenza è reduce da un 2020 indimenticabile grazie al successo di Alpha Tauri a Monza.
«Una grandissima emozione e sono sicuro che anche Gian Carlo abbia sentito un bel brivido l’anno scorso, quando Gasly tagliava il traguardo davanti a tutti. Quando semini, prima o poi i fiori spuntano sempre. Anche dall’asfalto».
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