Faenza, Luigi Neri ha scritto un saggio sul pensiero filosofico di Umberto Eco e la sua attualità

Romagna | 28 Marzo 2021 Cultura
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Federico Savini
«Umberto Eco è ancora attualissimo, forse addirittura rivoluzionario. Anche se certe prospettive rivoluzionarie degli anni ’60 sono tramontate, lui rimane interessante, grazie alla sua ironia e alla sua concretezza nell’analizzare la comunicazione. Ci ha mostrato con chiarezza che il significato non si esaurisce in un’asettica ‘definizione’, ma richiede il coinvolgimento di un’intera cultura, che quindi non si esaurisce mai». A cinque anni dalla morte di Umberto Eco - ma anche nei 50 anni del Dams, che proprio grazie a Eco nacque a Bologna -, il professor Luigi Neri, dirigente scolastico del Liceo Torricelli-Ballardini di Faenza, ha dedicato al grande intellettuale il saggio Umberto Eco. Una nuova idea di Cultura (Diogene Multimedia, 117 pagg., prefazione di Franco Paris), di particolare interesse per almeno due motivi, che vanno naturalmente aggiunti alla grandezza di Eco, forse il massimo intellettuale italiano del secondo Novecento e senz’altro quello che, insieme al diversissimo Pasolini, ha più segnato il dibattito pubblico di decenni di storia nazionale. Il libro di Neri si focalizza quasi esclusivamente sul pensiero filosofico e semiotico di Eco, eludendo il più facile ricorso ai suoi romanzi, di enorme successo. E l’operazione merita un’ulteriore sottolineatura per come il saggio - che affronta temi certamente complessi - alla fine risulti asciutto e quindi molto utile come introduzione al pensiero di Eco. «Volevo fosse agile - spiega lo stesso Neri -, che non banalizzasse le questioni ma che potesse aiutare a divulgare la grandezza di questa figura e del suo portato, trasmettendo ai lettori la voglia di approfondire».
Come mai un saggio su Eco, al di là dei cinque anni dalla morte?
«Tutto è nato da una richiesta dell’editore, che però non doveva necessariamente vertere su Eco. Quella è stata una mia scelta, poiché lo ritengo un intellettuale che ha rivoluzionato la cultura italiana, con una proposta innovativa e dissacrante rispetto a un precedente modo di intendere la cultura. I suoi studi sulla retorica, sul kitch, l’elogio di Franti dal libro Cuore di De Amicis, per non parlare degli approfondimenti quasi ‘sacrileghi’ che dedicò alla televisione, furono novità assolute. Si occupava con  competenza da filosofo di argomenti interdetti dal mondo culturale. La tv era demonizzata e lui, invece, la riteneva fondamentale. Formulò tesi importantissime, notando che il tempo televisivo - ad esempio di una telecronaca - coincide con quello reale, a differenza della lettura di un libro. Discrimini fondamentali che ebbero un impatto notevole sul mondo culturale italiano, fino al allora estremamente aulico e paludato. Devo dire che, nel mondo della scuola, le cose non sono poi molto cambiate».
La prima parte del libro si concentra molto sulla «dirompenza» del pensiero di Eco. Come si riesce a far capire una cosa del genere alle nuove generazioni, che non conoscono il contesto degli anni ’60?
«Penso che Eco sia ancora rivoluzionario. La scuola è certo meno solenne che in passato, ma un po’ di grigiore purtroppo c’è ancora. Ad esempio è fondamentale la distinzione che Eco stabilisce fra dizionario ed enciclopedia. A scuola, quando non si conosce il significato di un termine, si ricorre al primo, magari mandando a memoria la definizione. Ma la ‘definizione’ è per sua natura un mondo chiuso. Invece l’enciclopedia apre la mente, non fornisce risposte standard e ha un gioco infinito di rimandi. Un’altra grande rivoluzione di Eco fu il fatto di rivendicare il valore della cultura media, oggi diremmo ‘cultura pop’. Scrive cose bellissime sulla canzone popolare, alla quale diede per primo grande dignità, nonostante frequentasse abitualmente compositori colti come Berio. Eco concepisce la cultura come qualcosa che fa parte della vita quotidiana e si occupa essenzialmente di ‘comunicazione’, tuttora e più che mai al centro della nostra vita».
Esiste un Umberto Eco nello scenario culturale di oggi?
«Ce lo dirà la storia, ma io non credo. Non è necessariamente un male, il contesto è molto cambiato. Oggi siamo immersi in un mondo fatto di eventi effimeri, non c’è nulla che sia considerato epocale. è molto diverso dallo scenario monolitico in cui visse Umberto Eco e che proprio lui contribuì a scardinare. Se parliamo di cose che si insegnano a scuola, beh, dobbiamo a Eco la rivalutazione del Barocco, che in passato veniva rimosso dagli studi in quanto degenerazione del Classicismo, che invece secondo Eco era già una forma compiuta, insuperabile, e quindi il bello del Barocco stava nel suo movimento, nella molteplicità di prospettive».
Cosa penserebbe Eco, secondo lei, dell’attuale dibattito sul «politicamente corretto» e l’idea che il linguaggio debba essere normato, ad esempio sui generi sessuali?
«L’esistenza e la gravità dei problemi non implicano necessariamente soluzioni drastiche. Non credo che Eco sarebbe d’accordo sulla normazione del linguaggio. In Apocalittici e integrati, negli anni ’60, si occupò di temi simili. Era un riformista, non aveva una posizione netta fra i due poli. La normazione del linguaggio è considerata una battaglia progressista ma credo che Eco ci vedrebbe insita una tendenza conservatrice, che è quella di voler dare un ordine a tutto. Non credo che sarebbe paladino di queste cause e la sua biografia racconta di un uomo che non amava le bandiere. Aveva una matrice cattolica ma addivenne a posizioni piuttosto lontane, pur senza mai avere molto a che fare con il marxismo, che  nello scenario intellettuale di allora era una corrente dominante. Eco, d’altra parte, per quanto dirompente sviluppò il suo pensiero all’interno di un solco filosofico preciso, che era quello del razionalismo e in particolare di pensatori come Kant e il mai abbastanza ricordato Peirce. Non era certo un provocatore improvvisato…».
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