Donne e barriere architettoniche: «Ravenna ancora inaccessibile»

Romagna | 27 Gennaio 2019 Cronaca
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«Contavamo di poter proseguire la ricerca ma non siamo state finanziate dal Comune». Piera Nobili, architetta, due anni fa è stata la coordinatrice, per l'associazione Liberedonne che gestisce «La Casa delle Donne» di Ravenna, di uno studio sull'accessibilità – in termini di mobilità e la sicurezza -  delle donne con disabilità e delle mamme di figli disabili. La ricerca - «Stare di casa nella città: donne con disabilità» tornerà attuale domenica 27 gennaio a Porto Fuori, quando verrà riproposta all'interno di un pomeriggio dedicato alla medicina di genere (vedi box). In quell'occasione, si dirà, ancora una volta, come Ravenna non possa essere considerata ancora una città accessibile. Tema sul quale Nobili non ha dubbi: «L'argomento è ancora molto attuale e senz'altro non risolto. Le donne che vivono una condizione di disabilità subiscono una doppia discriminazione e i loro problemi non vengono affrontati in modo congiunto e integrato».
 
«ECCO COSA MANCA»
Ma cosa manca, nello specifico? «Gli esempi che si possono fare sono moltissimi. Penso alle attrezzature adatte a visitare le donne disabili o alla preparazione specifica dei medici, che il più delle volte non si sanno relazionare con le pazienti. Manca anche un'accessibilità diffusa ai servizi socio-sanitari». Se pensa, invece, alla città nella sua vivibilità quotidiana, Nobili punta il dito contro la presenza di barriere sensoriali che rendono le cose difficili, per esempio, per chi ha problemi visivi e uditivi e non riesce a muoversi». A questo si lega il discorso della sicurezza: «Muoversi in certe ore della giornata o frequentare certi luoghi, emerse due anni fa dalle nostre interviste narrative e dai focus group, per le donne con disabilità è un problema non da poco, che le espone alla fragilità e maggiori probabilità d essere aggredite». Per non parlare delle cosiddette disabilità invisibili: «Un conto è vedere una donna in carrozzina, che pare quasi muoversi in totale autonomia. Un altro è incontrarne una con una patologia tale che la porta, per esempio,  a doversi riposare ogni tanto, senza però che trovi luoghi in cui farlo».


OPERATORI POCO SENSIBILI
«Sul fronte assistenziale, è la neurologa dell'Asl Romagna Maria Grazia Piscaglia, che a Ravenna si occupa soprattutto di sclerosi multipla, a dire la sua sull'accessibilità: «Le donne che incontro tendono a rimandare il più possibile il momento in cui avranno bisogno di una persona che si occupi di loro perché sono esse stesse persone che si occupano degli altri. Una differenza notevole rispetto agli uomini, di cui purtroppo gli operatori socio-sanitari spesso non si accorgono. Ciò significa che quando la patologia o la disabilità della donna arriverà a un punto di non ritorno, il percorso assistenziale sarà molto più strutturato, magari in case famiglia o case di riposo, perché nessuno si occuperà di loro». Piscaglia è certa che senza una nuova cultura da parte dei colleghi, ben poco si potrà cambiare: «La sensibilità sta poco a poco cambiando ma azioni istituzionali concrete, ancora non se ne vedono. Le donne sono diverse dagli uomini, la letteratura ce lo dice sempre più spesso. Il punto è che il mondo sanitario non ha ancora fatto propri questi concetti. Eppure, si potrebbero anche orientare meglio le risorse».
 
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