Compagni e mariti stranieri, da Ravenna e Faenza parlano le donne: "Un arricchimento"

Romagna | 15 Dicembre 2020 Mappamondo
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Barbara Gnisci
«Parlo il russo per amore. L’ho imparato per conquistare mio marito. Sono stata io a corteggiarlo e la costanza mi ha ripagato. Dopo sette anni che ci frequentavamo, ci siamo sposati». Silvia Zampa, 41enne di Faenza, ricorda con tenerezza l’incontro con Innokentiy  Fateev (insieme nella foto), avvenuto 18 anni fa all’Università: «Frequentavamo l’Isia e tra una lezione e l’altra sono stata attirata dal fascino slavo di questo bellissimo ragazzo dagli occhi blu. Lui è sempre stato un artista, con una spiccata sensibilità, una persona proveniente da un paese che possiede una poesia che ti tocca nell’animo». Nato e cresciuto nelle pianure sconfinate della Siberia, Innokentiy vive a Riga tra i 10 e i 20 anni e poi si trasferisce in Italia per studiare: «Alcune donne cercano sicurezza economica negli uomini. Abituate al modello occidentale del papà con il posto fisso, fanno fatica ad apprezzare un uomo che ha una posizione meno stabile. Io all’inizio ero combattuta, ma poi ho scelto l’amore e la libertà». Ora Innokentiy è un pittore e un appassionato di restauro di apparecchi elettronici, mentre Silvia gestisce un piccolo B&b: «Mio marito e io siamo cresciuti insieme  e abbiamo sviluppato uno stesso modo di intendere la vita. Non riesco a intravedere differenze culturali tra di noi. Da lui ho imparato tanto, è una persona seria, indipendente, che mi rispetta e che ha piena fiducia in me. È un uomo che si esprime poco a parole, ma molto di più con i fatti». La coppia ha due bambini piccoli, Valentino e Leonardo: «Innokentiy è un padre speciale, essendo un artista si dedica con loro a tante attività legate al disegno. Apprezzo, di lui, la sua voglia di riuscire e di fare bene le cose e soprattutto il fatto di non lamentarsi. Ecco, questo credo che questo sia un fatto culturale, e non solo individuale. Per me sposare un uomo straniero è stata una grande opportunità».
Tra Sara e Abdou (nella foto) è stato invece quest’ultimo a corteggiare: «All’inizio mi stava anche antipatico, perché faceva certe facce quando ballavo. Certo, noi bianche non siamo proprio portate per le danze africane, e lui non lo nascondeva». Nel 2008 Sara Zaccherini, 41enne di Faenza, frequenta un corso di danze africane, nel quale Abdou Mbaye, del Senegal, partecipa come musicista: «Poi una sera abbiamo cominciato a parlare e praticamente non abbiamo più smesso. Lui ha messo in atto un corteggiamento vecchio stampo e dopo sei mesi ci siamo sposati. La mia famiglia pensava che fossi incinta, per la fretta con cui avevamo deciso, ma noi non volevamo perdere tempo». Il matrimonio avviene con un rito civile in Italia e con uno religioso in Senegal: «Ci siamo sposati per interposta persona. Il matrimonio islamico è stato celebrato a distanza, ci hanno chiamato e ci hanno detto che eravamo marito e moglie. Io Abdou non l’ho mai inteso come africano, m piaceva lui, non ho mai considerato il lato etnico, sebbene ci siano delle differenze tra di noi. Lui ha un modo di vivere alla giornata che riesce a bilanciare il mio approccio più ansioso». Entrambi operai, hanno un bambino di 10 anni: «Anche nell’educazione siamo in linea. Nostro figlio lo abbiamo fatto circoncidere, perché condivido alcuni aspetti della religione musulmana. Io sono una cristiana non praticante, Abdou invece prega cinque volte al giorno e fa il Ramadan, ma abbiamo sempre convissuto bene, nel pieno rispetto dell’altro. Abdou è un africano strano, è lui che cucina, che lava i piatti, che si occupa di tante faccende in casa». Positivi anche i rapporti con le rispettive famiglie: «I miei genitori hanno imparato a conoscerlo e hanno scoperto in lui un bravo ragazzo, serio, un gran lavoratore e senza vizi; lui ha una famiglia molto grande, sono 33 figli, perché suo padre ha avuto quattro mogli.  Quando sposi un africano è un po’ come sposare tutta la famiglia. Molti di loro vanno via dal proprio Paese proprio per aiutare i familiari. Noi siamo stati in Senegal quattro volte. È un paese meraviglioso, ogni volta che vado ho la sensazione di rigenerarmi. Lì non si corre, non c’è modo di pensare allo stress. Se hai dei figli, c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarti. Ogni tanto parliamo di trasferirci ma io ho la mia famiglia qui e, a differenza degli africani, noi facciamo più fatica ad andare via».
Chi invece è intenzionato a trasferirsi nel Paese del proprio compagno è Federica Minghelli, 41enne di Ravenna, che ha conosciuto Damjan  Roznik, di Izola (Slovenia) in mare: «L’amore è stata l’evoluzione del nostro lavoro. Ci siamo incontrati a bordo di uno yacht del quale io ero il capo del personale e lui il nostromo. Siamo diventati amici e poi ci siamo innamorati». L’evoluzione di questo rapporto si chiama due volte Alice, come la loro bambina di 8 anni e come «Alice in Waterland», il progetto di vacanze in barca per famiglie al quale stanno lavorando: «Ci abbiamo messo un anno a ristrutturare la nostra barca  e ora è in Slovenia. Stiamo aspettando di poter finalmente partire per il nostro nuovo viaggio». Entrambi marinai, Federica e Damjan si differenziano in alcuni aspetti: «Gli sloveni hanno un concetto di famiglia meno “morboso” del nostro. Noi non facciamo altro che ricordare i traumi vissuti in famiglia che rimane, nonostante tutto, sempre perennemente presente. Loro hanno un rapporto più maturo, si relazionano in maniera più adulta». Le abitudini tendono anche a integrarsi: «Quando l’ho conosciuto, Damjan aveva un concetto del mangiare legato al “devo nutrirmi”; con il tempo ha imparato ad apprezzare di più il cibo, ma allo stesso tempo, io mi sono abituata a consumare delle cene più frugali e meno elaborate, per il puro gusto di trascorrere del tempo insieme a chiacchierare. Inoltre lui è diventato più aperto, più empatico. Credo che scegliere una persona di un altro Paese sia un modo per imparare cose e modalità nuove e quindi di crescere e migliorare». 
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