Ciclismo, il ct Davide Cassani: "Il Giro fa innamorare ancora i bambini, Ravenna valorizza il tandem sport-arte"

Romagna | 17 Maggio 2019 Sport
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Gabriele Cocchi
Il 58enne solarolese Davide Cassani, commissario tecnico della Nazionale di ciclismo dal 28 gennaio 2014, si appresta a vivere martedì 21 una delle tappe più suggestive del Giro d’Italia essendo lui romagnolo e pure presidente di APT Servizi Emilia Romagna, cioè responsabile dell’Ente di promozione turistica regionale. La tappa, con partenza da Ravenna ed arrivo a Modena, è un ottimo spot promozionale per il nostro territorio ed anche il fatto che si corra dopo un giorno di riposo, e reduci dalla spettacolare cronometro Riccione-San Marino, è un bene perché significa che la carovana del Giro con tutto il seguito arriverà un giorno prima in città. «Certamente aiuta il fatto che praticamente ci sono quasi due giornate a disposizione, come aiuta anche il fatto che a questo Giro partecipa il campione del mondo Alejandro Valverde. Avere la tappa Ravenna-Modena è un ottimo promo come lo è anche il fatto di aver avuto la prima tappa di Bologna. Ravenna può valorizzare al massimo l’abbinamento sport e arte, il fatto che la partenza dalla città bizantina avvenga dopo un giorno di riposo, è ancora più bello».
Sarà una tappa con percorso pianeggiante: prevede una volata? Chi sono i favoriti?
«Una volata a ranghi compatti potrebbe essere la soluzione più probabile con il nostro Elia Viviani, Caleb Ewan, Fernando Gaviria ed Arnaud Demare favoriti dal pronostico, ma occorre anche dire che è un tipo di percorso che si addice ad uno scatto di qualcuno che può fare il vuoto a poco dalla fine».
Saranno tre i romagnoli in gara: Manuel Belletti, Matteo Montaguti e Manuel Senni. Nel caso la tappa dovesse proprio caratterizzarsi con una fuga negli ultimi chilometri, potrebbero dire la loro?
«Potrebbero essere protagonisti perché bravi come caratteristiche nel tentare scatti a ripetizione per fare il vuoto e perché, essendo romagnoli, vorranno lasciare il segno».
Mentre i favoriti per la vittoria del Giro chi sono?
«Dopo il ritiro di Dumoulin (Sunweb), dico Mikel Landa e Alejandro Valverde (Movistar), Miguel Angel Lopez (Astana), Simon Yates (Mitchelton) ed ovviamente Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) che ha già vinto due volte il Giro».
Secondo lei, che è stato un valido professionista, vedere il Giro può ancora fare innamorare di questo sport i bambini più piccoli? 
«Ne sono sicuro perché vedere da vicino questi campioni, li coinvolge e li rende vogliosi di gareggiare in bici ed emularli. Nella mia vita il ciclismo ha rappresentato tutto per me e la scintilla della grande passione mi scoccò proprio facendo lo spettatore al fianco di mio padre nel 1968, a sette anni, nel giorno della vittoria al mondiale di Imola di Vittorio Adorni. In quell’istante capii chiaramente cosa volevo fare per divertirmi, poi ovviamente mai avrei pensato che diventasse anche il mio lavoro. Quel giorno mi innamorai della bicicletta e da allora ho sempre dedicato anima, mente e corpo a questo sport».
Quali sono gli ingredienti per avere successo nel ciclismo?
«Innanzitutto l’impegno, poi il sacrificio e la costanza. Bisogna sempre seguire il cuore senza farsi condizionare, imparare al meglio la propria disciplina e imporsi delle regole, conoscere i propri limiti e capacità. Solo così ritengo si possa emergere. E quando i risultati non arrivano non abbattersi, ma continuare ad allenarsi duramente perché il lavoro alla fine ripaga degli sforzi fatti; al riguardo, porto il mio esempio dicendo che la prima vittoria arrivò dopo ben sette anni di corse».
Alfredo Martini, uno che di ciclismo ne masticava, fu tra i promotori della sua nomina a commissario tecnico della Nazionale come successore di Paolo Bettini.
«E’ stato un grande maestro e per me è stato un grande onore avere la sua investitura. Alfredo è stato per me come un secondo padre, da lui, dalla sua esperienza, dalla sua saggezza ho imparato tantissimo nei nove anni che sono stato in Nazionale, ed ho cercato di assimilare quel suo modo competente e tranquillo con cui riusciva a fare coesistere nel migliore dei modi e senza gelosie campioni di prima fascia».
Nel complesso vede in salute il nostro ciclismo?
«C’è fermento e voglia di fare bene, sta crescendo e quindi sono fiducioso».
Per il Mondiale potremmo avere speranze di vittoria?
«La vedo piuttosto dura, però ci sono giovani che in proiezione possono essere papabili per ambire in futuro ad una maglia iridata come Moscon, Colbrelli, Trentin ed ovviamente Nibali e Aru. Non dimentichiamo che anche i vari Moser, Saronni, Bugno, Bettini, Argentin, prima di emergere e consacrarsi, hanno fatto molta gavetta. Poi sappiamo anche che il Mondiale spesso fa storia a sé uscendo dai binari del pronostico e quindi mai dire mai».
Si dice spesso che il calendario delle gare sia troppo fitto andando a scapito della qualità e dello spettacolo.
«Non credo sia troppo fitto, perché ora le rose delle squadre sono molto ampie ed alla fine ognuno disputa quelle 70/80 corse, un numero minore rispetto a quelle che correvo io».
Ci sono giovani romagnoli emergenti?
«In questo caso, occorre ancora tempo».
Come è il suo rapporto con la Federazione?
«Ottimo, perché hanno piena fiducia nel mio lavoro e non hanno mai interferito nonostante in questi cinque anni con la Nazionale sia arrivato solo un titolo Europeo. Mi sento un privilegiato per questa grande fiducia perché significa che apprezzano il mio lavoro e la mia competenza».
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