Ambiente, il Parco dei Gessi si vuole allargare fino allo «Spungone»

Romagna | 01 Febbraio 2019 Cronaca
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Sandro Bassi - Il Parco della Vena del Gesso romagnola, oggi esteso per oltre 2mila ettari lungo una dorsale lineare di circa 20 km che va da Brisighella fino alle alture ad ovest di Tossignano, in sinistra Santerno e già in provincia di Bologna, potrebbe espandersi ulteriormente. Dove? Esattamente sull’altro lato, cioè da Brisighella verso est, verso il forlivese, dove i gessi lasciano il posto allo «Spungone», catena di roccia calcarenitica che vede anche cime importanti, non tanto per l’altezza, modesta, quanto per i valori naturali analoghi a quelli dei gessi: si tratta dei colli di Ceparano, Pietramora, Castellaccio della Pietra e via via verso la valle Samoggia e poi ancora più ad est fino al Montone dove sorge il paese di Castrocaro, non a caso splendidamente adagiato sotto il cucuzzolo dove sorge la rocca omonima e l’affioramento di Rio Cozzi, entrambi di spungone.
«I requisiti naturali ci sono tutti – spiega il direttore del Parco, Massimiliano Costa – e l’affioramento, pur geologicamente diverso, si presenta come prosecuzione della Vena del Gesso, almeno da un punto di vista geografico e paesaggistico; tra i due ambienti ci sono poi altri comuni denominatori, soprattutto botanici, tant’è che Pietro Zangheri, grande studioso forlivese autore della “Flora della fascia gessoso-calcarea romagnola”, considerò l’area unitariamente. Nel 2019 si celebra il 130esimo anniversario della nascita di Zangheri e credo che il miglior “regalo di compleanno” sarebbe proprio il riconoscimento di un parco unico».
Il comune di Castrocaro ha già deliberato nell’estate 2018 il suo assenso (anzi, di fatto è una richiesta) all’inclusione. Peraltro gli affioramenti dello spungone sono già vincolati in quanto Sic (siti di interesse comunitario, cioè europeo) e quindi il passaggio a parco regionale non cambierebbe gran che nelle normative; piuttosto creerebbe un valore aggiunto di immagine e consentirebbe di accedere a tutte quelle agevolazioni, anche e soprattutto economiche, che riguardano le aree protette regionali. La palla ora passa alle due province territorialmente competenti, Ravenna e Forlì-Cesena, e soprattutto alla Regione Emilia-Romagna per l’approvazione di un piano territoriale comune.
Preziosi e comuni valori naturali, storici e archeologici
Il termine «Spungone» deriva dal dialettale spugnò (alla lettera spugnone, riferito all’aspetto cariato di questa roccia) ma è da tempo accettato anche dal mondo scientifico; con esso si identifica un affioramento di roccia calcarea-arenacea, tipicamente fossilifera, estesa dalla valle del Marzeno (comune di Brisighella) fino a Bertinoro e alle prime alture cesenati. E’ una sorta di scogliera sottomarina formatasi poco più di 3 milioni di anni fa per deposizione di detriti (sabbie, limi) e micro-scheletri calcarei di organismi marini. Si tratta quindi di una montagna più «giovane» rispetto alla Vena del Gesso, che di anni ne ha quasi il doppio.
In comune fra le due catene rocciose, oltre ai pregi botanici (soprattutto piante mediterranee, quindi di microclima relativamente caldo), c’è la peculiare configurazione morfologica: rupi e falesie rocciose in versante sud, pendici meno ripide, invece, su quello opposto. E di conseguenza una vegetazione rada e discontinua - ma preziosa, anche con specie assai rare come i cisti - sul primo, e boschi di quercia, carpino nero e orniello, sul secondo.
Altro comun denominatore è la presenza di castelli, mille anni fa sentinelle per il controllo del territorio e oggi invece ruderi di interesse storico-archeologico oppure adibiti a musei di se stessi, con notevole ricaduta turistica. I casi più noti di quest’ultimo tipo sono le rocche di Brisighella e Castrocaro; per il primo invece vanno citati Rontana e Ceparano (entrambi nel comune dei Tre Colli), non a caso oggetto di recenti, fortunate campagne di scavo archeologico sempre da parte dell’Università di Bologna. Rontana e Ceparano sono coeve, con analogie da un punto di vista militare, demografico e certamente anche strutturale: ambedue presentano un maschio (torrione centrale) a pianta ogivale, cioè con uno sperone «a becco» proteso verso il lato più debole, accorgimento geniale di strategia militare e forse attribuibile ad uno stesso architetto di fine ’300.
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