Ravenna, Garavini (neo coordinatore Libera): "La mafia prolifera anche in Romagna"

Ravenna | 27 Marzo 2021 Cronaca
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Federica Ferruzzi
Dal primo marzo Carlo Garavini, già da tempo attivista di Libera, ne è diventato ufficialmente il coordinatore provinciale e racconta che anche qui, come avviene nel resto d’Italia, la mafia «pulisce» i proventi di attività illecite avvalendosi sempre più di professionisti della zona grigia, che mettono a disposizione dei malavitosi la propria competenza e la propria rete di contatti. «Un fenomeno - precisa Garavini - sempre più presente anche nella nostra realtà, come dimostra l’intercettazione della telefonata intercorsa tra la consulente finanziaria Roberta Tattini, coinvolta nel processo Aemilia, con studio in piazza Santo Stefano a Bologna, ed il padre, a cui diceva con orgoglio di aver ricevuto la visita di un mafioso, Nicolino Grande Aracri, definito il sanguinario». 
Circa un mese fa anche Roberto Saviano è intervenuto per segnalare che le mafie stanno acquistando pensioni a Rimini, a poche centinaia di chilometri da qui. Qual è la situazione dal vostro osservatorio, in Romagna cosa accade?
«Almeno dieci delle recenti interdittive antimafia nel riminese riguardano tentativi di infiltrazione nel turismo. La situazione è che ci sono moltissimi imprenditori, quali ristoratori, baristi, albergatori, titolari di stabilimenti balneari, a corto di soldi. La mafia arriva con ingentissimi capitali da investire e dall’oggi al domani offre al proprietario una cifra importante per rilevare l’attività. Se lo si fa in una settimana il prezzo è quello, se invece si accetta successivamente la cifra diminuisce. A Ravenna, ad esempio, la situazione del settore alberghiero è in forte difficoltà ed occorre monitorarla, ma la crisi è generale. Ricordiamo tutti cosa accadde, alcuni anni fa, allo stabilimento Marina Bay, su cui cercò di mettere le mani un clan ‘ndranghetista per ripulire soldi derivanti dal mercato della droga».
Oltre al settore del turismo, un ambito a rischio è quello legato al lavoro agricolo, in proposito avete raccolto segnalazioni?
«La pandemia ha amplificato problemi che già c’erano di disuguaglianze economiche e sociali. Se parliamo di agricoltura riscontriamo episodi di caporalato, ma sappiamo che le mafie, in Emilia-Romagna, sono dedite ad attività diverse ed ogni città ha una sua caratteristica, che va dall’usura alla prostituzione: a Ravenna, ad esempio, domina lo spaccio. Rimini si distingue invece per le attività illegali ospitate nelle discoteche, che funzionano come una sorta di matrioska delle attività criminali. Ci sono al contempo la bisca, il riciclaggio e lo spaccio di droga”.
I porti, da sempre, rappresentano una delle porte di accesso all’attività malavitosa: qual è la situazione a Ravenna?
«Sulle navi, spesso, si possono insinuare carichi di droga talvolta provenienti da Africa,  Sud America e Medioriente. Nel caso di Ravenna gli spacciatori sono locali, ma sono subordinati ad una mafia esterna, nello specifico quella gestita dai Madonìa-Gambino. Questo passaggio è esemplificativo di come si muova la mafia al Nord. In ogni città c’è un clan che si occupa di un’attività illecita: quando ne arriva uno più potente, il clan che c’era lascia il passo senza dichiarare guerra, come invece accadeva un tempo, perché c’è la consapevolezza che i volumi di “lavoro” aumenteranno e a beneficiarne sarà l’intero sistema. Non bisogna però ragionare per compartimenti stagni, la mafia si infiltra in tutto il tessuto sociale ed economico e prospera dove c’è crisi».
Nei giorni scorsi si è risolto il processo Black Monkey, il primo processo di mafia celebrato a Bologna: per i giudici della Cassazione, però, non fu mafia. Il caso, lo ricordiamo, vedeva il gruppo legato a Nicola Femia realizzare profitti con le slot…
«Come gruppo, come Libera, è stata una brutta botta. Perché un reato venga definito mafioso si deve verificare se c’è stato o meno il metodo mafioso, ovvero l’esercizio della forza tramite intimidazione. Lì non è stato possibile dimostrarlo, dicono i giudici, e a me pare quantomeno sconcertante, visto che in un’intercettazione uno degli indagati sostiene che se il giornalista (Tizian, ndr) non avesse smesso di parlare dei Femia, gli avrebbe sparato in bocca». 

NUOVI PROGETTI 
«Al momento - spiega Garavini - stiamo cercando di lavorare con il Comune di Castelbolognese sul tema del caporalato e organizzeremo una serie di incontri ad hoc. Per organizzare questi eventi ci ha contattato l’assessora Ester Ricci Maccarini e noi ci siamo “tirati dietro” altri ragazzi che provengono da realtà diverse che vanno dalla Casa delle donne al gruppo di Amnesty Ravenna ai Black Lives Matters sempre di Ravenna. Ci auguriamo che, facendo rete tra varie associazioni, si possa rendere Libera un po’ più accessibile: quelle della mafia sono tematiche complesse ed è necessario che sempre più gente si avvicini. Al momento stiamo facendo  formazione grazie alla disponibilità di Massimo Manzoli e Franco Ronconi: il primo ci ha parlato del  processo Black Monkey, il secondo ci ha spiegato la differenza tra Libera, associazione voluta da Don Ciotti che lotta contro le disuguaglianze che fanno proliferare la mafia, e Libera Terra, un consorzio di cooperative che lavorano con beni sottratti alle mafie e che proprio grazie a Libera riescono a commercializzare i loro prodotti su scala nazionale. A loro si aggiungono i contributi di Mercedes Nicoletti, riferente di Libera Rimini, e di Sofia Nardacchione, di Libera Bologna». (fe.fe.)

 
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