Ambrogio Sparagna racconta il concerto-evento di Ravenna Jazz il 7 maggio al teatro Alighieri

Ravenna | 06 Maggio 2018 Cultura
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Federico Savini
«In cinque anni abbiamo coinvolto in orchestra migliaia di ragazzi, e senza mai fare un’audizione. Magari non ci si fa caso, ma è una cosa quasi rivoluzionaria». Al quinto anno di «Pazzi di Jazz», è più che concreto il sospetto che Ambrogio Sparagna ci stia «prendendo gusto». Il grande musicista che ha avuto un ruolo chiave nel roboante rilancio della taranta salentina e che da anni è impegnato in mille progetti lungo tutto lo Stivale tornerà a Ravenna, lunedì 7 maggio per la quinta edizione di «Pazzi di Jazz - Young Project». E quello del teatro Alighieri alle 21 sarà molto più che un concerto; sarà l’esito di un lungo percorso laboratoriale sul territorio che porterà sul palco circa 250 giovanissimi musicisti dalle scuole ravennati diretti da Tommaso Vittorini, Ambrogio Sparagna e il vocal-beatmaker Alien Dee, con la partecipazione di Paolo Fresu per la serata-evento «I Got Rhythm», omaggio a George Gershwin nei 120 anni dalla nascita.
«Nello specifico io ho tenuto laboratori alle elementari e medie – racconta Sparagna -, con l’orchestra di Percussioni dell’I.C. Darsena e il coro Swing Kids delle primarie Mordani e Iqbal Masih».
Per il quinto anno, per giunta. Ma esistono progetti simili in Italia?
«Questo ravennate è certamente particolarissimo. In particolare io lavoro sulla vocalità dei bambini, con scuole di formazione e orchestre giovanili. Formalizziamo queste idee e stili che derivano dalla musica popolare sposandole con il jazz».
Che non è, di base, il suo «territorio di appartenenza». Ma è comunque una musica che, per quanto evoluta, ha radici popolari…
«Esatto. Il jazz porta avanti da anni un’idea di musica molto aperta, anche a linguaggi come il mio, vicini ma non certo pertinenti al jazz classicamente inteso. I modelli del canto popolare hanno una loro semplicità e capacità evocativa e si adattano bene al progetto, il cui fine ultimo è costruire ponti tra culture, forme e linguaggi. In questo senso siamo “pazzi”. Ciascuno di noi insegnanti lavora dalla sua prospettiva e a partire dal proprio bagaglio per questo fine comune. Viviamo l’esperienza musicale come un dono, un segno identitario e di comunità».
Nello specifico come lavora nelle scuole?
«L’elemento distintivo di questo progetto è quello del più grande coinvolgimento possibile. Di conseguenza non facciamo audizioni, che invece si fanno eccome nelle classiche scuole ad indirizzo musicale. L’obiettivo è inserire in una prospettiva di musica d’insieme anche chi non ha grandi capacità o è all’inizio di un percorso formativo, vedi i ragazzi delle medie. Partiamo dalle basi del ritmo, letteralmente dal battito delle mani, per poi incrementare la complessità della musica. In questo senso il jazz avvicina la musica popolare; la radice è comune, partiamo dalla persona, non da codici stilistici predeterminati».
E cos’è che i ragazzi scoprono del jazz e della musica in generale?
«Del jazz non sanno praticamente nulla, ma questo fa parte del bello dell’operazione. Questa esperienza penso sia fondamentale per cementare quell’integrazione fra ragazzi di varie provenienze geografiche e culturali che reggeranno il mondo di domani, ma anche già quello di oggi. Esistono delle innegabili difficoltà in questo percorso ma la musica d’insieme, in orchestra, ha proprio lo scopo di ricercare l’armonia fra tutti i musicisti. Dietro a un’orchestra, in cui tutti concorrono al risultato finale, c’è lo spirito di comunità, è un’esperienza che ha un valore paradigmatico. In questo senso “Pazzi di Jazz” è un modello nazionale, sperimentato a Ravenna».
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