«Femminicidio e Commedia» di Alice Bellotti, Liceo Classico Dante Alighieri (Ravenna), 5BSU

Ravenna | 08 Dicembre 2021 Dante700
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Sig. Alighieri, lei ha trascorso gli ultimi anni dell'esilio nella città di Ravenna, dove ha portato a compimento la sua “Commedia”, componendo gli ultimi tredici canti del “Paradiso”. Possiamo affermare che Ravenna sia stata un'importante fonte di ispirazione per la sua produzione letteraria?
«In questa piccola cittadina ho trovato finalmente un’oasi di pace e tranquillità rispetto alle delusioni e alle amarezze del continuo peregrinare in giro per l’Italia e la straordinaria bellezza dei suoi luoghi e della sua arte hanno certamente dato un forte impulso alla mia immaginifica fantasia. E' doveroso esprimere da parte mia un sentimento di gratitudine nei confronti di Guido Novello da Polenta, Signore di Ravenna, uomo di grande umanità, amante delle arti e della poesia, che mi ha generosamente accolto alla sua corte».
Nella Commedia sono numerosi i riferimenti a luoghi, opere d'arte e personaggi ravennati: la pineta, lo splendore dei mosaici bizantini, i personaggi illustri. Francesca da Rimini, figlia del Signore di Ravenna, è uno di questi, di cui ce ne parla nel V Canto dell'Inferno”.
«Francesca è una giovane donna costretta a sposare, per contratto politico, un uomo che non ama. Quando Paolo, fratello del marito, un giorno la vede, la tragedia ha inizio. Un amore travolgente si impadronisce di loro, ma la loro felicità sarà destinata ad una brevissima durata: il marito li scopre e, preso da furia omicida, li uccide entrambi».
Il V Canto dell'Inferno narra, probabilmente per la prima volta nella storia della letteratura, un caso di femminicidio. Lungo il suo viaggio ultraterreno Lei incontra altre due figure femminili che, al pari di Francesca, hanno subito violenze familiari: Pia De' Tolomei, nel Purgatorio, e Piccarda Donati, nel Paradiso.
«Similmente a Francesca, Pia è una donna assassinata per mano dell’uomo che le aveva promesso, sposandola, amore e protezione. Fu gettata dal balcone, forse per la scoperta della sua infedeltà, forse per liberarsi di lei per il desiderio di un nuovo matrimonio. Piccarda è una giovinetta pia e religiosissima, rapita per mano del fratello dal monastero nel quale avrebbe voluto farsi monaca, e costretta alle nozze».
In cosa si differenziano queste tre figure?
«Francesca intende l'amore come una forza irresistibile e fatale. Avendo poi fatto una propria scelta, in nome dell'amore, ne porta e ne accetta dignitosamente tutte le conseguenze. Come tutte le anime dell'Inferno è vendicativa e legata alla vita terrena. E' animata da un forte odio e da un forte desiderio di vendetta nei confronti del suo carnefice: “Caina attende chi a vita ci spense”. Esattamente contrapposto all'atteggiamento di Francesca è quello di Pia. La sua vicenda è accompagnata da un sentimento di pietà nei confronti del suo assassino. La morte subita per violenza altrui costituisce un momento drammatico dell'esistenza di quest'anima e, a quel momento, è ferma la sua memoria. Questa violenza è specchio di una degenerazione della società: è un mondo in cui la violenza entra nella famiglia e spinge un marito contro una moglie. Pia è una donna mite e discreta, fatta di pudicizia e di intimità. Dalle sue parole non traspare odio, ma un insuperabile e incessante amore: “Salsi colui che inanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma”.
Altrettanto carica di dolcezza e pietà è Piccarda, la quale non nomina i suoi persecutori, ma semplicemente si limita ad indicarli in modo vago e generico, come “uomini… a mal più ch’a bene usi”. Se il tono vago toglie ogni carica di rabbia e di vendetta personale alle parole della donna, ormai beata, contemporaneamente indica una generale condizione di violenza nella società. Le donne, condannate a non agire, ma a subire le decisioni altrui, non hanno che la superiorità del distacco e del perdono».
Lei, in pochi versi, ha raccontato storie emblematiche sulla violenza di genere che proiettano le figure di queste tre donne nel nostro secolo e nel nostro stesso Paese, dove il femminicidio è una piaga ancora da sconfiggere. Quanto è importante il passato per comprendere pienamente il fenomeno della violenza sulle donne?
«Per comprendere appieno i fenomeni attuali dobbiamo necessariamente volgere il nostro sguardo al passato. Tanto più un meccanismo è radicato nel tempo, tanto più diventa complicato estirparlo. Tuttavia, come affermava Cicerone: “La Storia è maestra di vita”. Nel raccontare le storie di queste donne sembra voler indicare alle generazioni future gli errori da non commettere più».
La letteratura può avere il potere di trasmettere messaggi capaci di condizionare la vita e il comportamento delle persone?
«Le opere letterarie sono spesso lo specchio della società, ma nello stesso tempo la plasmano. Così, insieme ad altri fattori, una letteratura che presenta come normale e addirittura lodevole la violenza sulle donne, contribuisce a radicare nei lettori quella malsana convinzione. La letteratura, avendo spesso come tema centrale l’amore, non poteva esimersi dal presentare legami con la violenza sulle donne. Per creare una società in cui non vi siano più abusi sulle donne, occorre prima educare all’amore. Ricordate, è: “L'amor che move il sole e l'altre stelle“».
 
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