IL CASTORO | Il «caso» Matatia: un ebreo a scuola diventa un «fatto politico»

Faenza | 13 Febbraio 2019 Blog Settesere
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Ilaria Mingazzini e Anna Balducci

Una mattina autunnale di trent’anni fa entra, nella pellicceria Matatia di Faenza, un signore anziano. Avvicinandosi timidamente al proprietario Roberto, l'uomo dichiara di avere qualcosa che appartiene alla sua storia e che, dunque, ritiene giusto consegnargli. Si tratta delle lettere scritte dalla cugina di Roberto, Camelia, dopo il suo arresto a Savigno a seguito dell’emanazione delle leggi razziali. Sulla scia di queste lettere, Matatia scrive I vicini scomodi, un romanzo storico che narra la vita della sua famiglia ebrea durante gli anni del regime fascista.

Matatia ha raccontato questa storia in molte scuole italiane e avrebbe dovuto farlo anche al liceo classico di Torremaggiore (Foggia), ma l’incontro è saltato a causa dell’opposizione di alcuni docenti al consiglio d’istituto. «Invitare un ebreo è un fatto politico e, a scuola, non si fa politica», avrebbero sostenuto gli insegnanti contrari al progetto.

Abbiamo chiesto a Matatia cosa ne pensi di questa affermazione.

«Sono dell’idea che quello che mi è successo sia un’aberrazione. Non si può dichiarare che invitare un ebreo è un fatto politico, per il fatto stesso che si invita una persona e non un rappresentante di una corrente politica. Definire con una tale espressione l’invito ad un ebreo vuol dire porsi allo stesso livello dei fascisti e dei nazisti, che ritenevano che essere ebrei significasse rappresentare qualcosa di negativo e pericoloso per la società. È un’affermazione che non funziona, anche perché ritengo che sia giusto non fare politica, ma lo sia insegnare ad affrontarla, a saperne parlare. Certo, non si può dire ‘io sono comunista, tutti i comunisti sono bravi e voi dovete imparare ad essere comunisti’. Un professore capace deve insegnare agli studenti a riconoscere gli elementi positivi e negativi della società, affinché questi possano, un giorno, votare in modo consapevole. Senza un’adeguata formazione, il rischio è che il voto sia impulsivo, dovuto a una simpatia momentanea per il personaggio che urla di più in quel momento».

Come è finita la vicenda?

«In seguito alla pressione del massiccio tram tram mediatico (la vicenda è stata ripresa dai maggiori quotidiani nazionali, dalla Rai, etc.) e alle scuse del preside, la scuola è ritornata sulla sua decisione, invitandomi per il 15 febbraio prossimo».

Crede sia importante per i giovani ascoltare testimonianze storiche come la sua?

«Fondamentale. Per capirlo bisogna risalire al concetto di Memoria. Conoscendo la storia, sia quella dei grandi numeri sia quella dei piccoli numeri, le nuove generazioni apprendono le basi per riconoscere i germi degli orrori del passato».

Cosa ne pensa dell’abolizione del tema storico all’esame di maturità?

«Sono contrario, perché la storia è una di quelle materie che stimolano lo sviluppo del pensiero. Inoltre, siccome la storia è la linfa di un popolo, un popolo che non ha una memoria è un’identità destinata, presto o tardi, a scomparire».

Quale crede dovrebbe essere l’obiettivo della scuola?

«Stimolare la formazione del pensiero e del ragionamento, soprattutto attraverso il dialogo. Al giorno d’oggi spesso non si accetta il confronto critico, si passa direttamente allo scontro, che non va bene per nessuno, perché blocca lo sviluppo delle idee, impedendo di completare un ragionamento».

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