Quel romagnolo che cancellò la festa del Primo maggio

Emilia Romagna | 02 Maggio 2022 Fata Storia
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Veronica Quarti - La Festa dei Lavoratori che si celebra il primo giorno di maggio ha una storia alle spalle davvero interessante e, soprattutto, estremamente significativa. Nel luglio 1889, durante il congresso della Seconda Internazionale tenutosi a Parigi, viene scelta una data precisa in cui, ogni anno, i lavoratori di tutti i Paesi sarebbero scesi in piazza per reclamare maggiori diritti e tutele nell’ambito professionale: all’epoca naturalmente una delle battaglie più importanti era legata al riconoscimento legale di un massimo di otto ore lavorative. Venne scelto il 1° maggio perché nel 1886 a Chicago era stata organizzata una grande protesta dei lavoratori, che venne poi repressa nel sangue.
In Italia, durante la Prima guerra mondiale, le celebrazioni della prima giornata di maggio subirono un arresto solamente nel 1915, anno in cui il nostro Paese entrò nel conflitto: gli anni successivi, i lavoratori riuscirono ad astenersi dal lavoro in quella giornata, ma dovettero riunirsi non in comizi pubblici, bensì in riunioni private. Su quest’ultimo punto i controlli furono davvero molto severi, tant’è che allo stesso Filippo Turati (fondatore del Partito socialista italiano) venne vietato di formulare il suo discorso del 1° Maggio a teatro. Nel 1918, quando l’Italia si avvicinava alla fine della guerra, la Festa dei Lavoratori fu un’occasione per ribadire certamente i diritti professionali e umani degli italiani, ma anche un modo per condannare apertamente la guerra, e auspicare di conseguenza una conclusione immediata del conflitto. Nonostante queste premesse, il primo dopoguerra italiano vide anche l’ascesa del Fascismo e, con esso, di Benito Mussolini: gli scontri tra fascisti e socialisti durante gli scioperi e le celebrazioni del 1° Maggio si fecero di anno in anno più frequenti ed accese. In Romagna, gli episodi di violenza nei confronti di braccianti, famiglie di lavoratori, erano all’ordine del giorno. Benito Mussolini era romagnolo a tutti gli effetti: era nato a Predappio il 29 luglio 1883 da una famiglia di lavoratori. Suo padre Alessandro era infatti un fabbro, mentre la madre Rosa Maltoni era un’insegnante di scuola elementare. L’ultimo nome di Benito Mussolini era Andrea, ed era stato scelto proprio dal padre per omaggiare Andrea Costa, uno dei primi e maggiori esponenti del socialismo italiano.
Nonostante la famiglia romagnola fosse quindi lavoratrice instancabile e in un certo senso fortemente riconoscente ai più grandi socialisti del nostro Paese, fu proprio Mussolini durante il regime ad abolire la Festa del 1° Maggio. Attraverso il Regio Decreto Legge del 23 aprile 1923, veniva cancellata e severamente vietata qualsiasi manifestazione o festeggiamento nel primo giorno di maggio; la festa del lavoro fu poi fatta corrispondere al 21 aprile che era, non a caso, il giorno dell’anniversario della fondazione della città di Roma. Il tentativo di Mussolini non era un semplice cambiamento di date, bensì un modo per cancellare le lotte dei lavoratori, le proteste per il raggiungimento di importanti obiettivi e, con essi, tutte le ondate repubblicane, socialiste e comuniste. Sempre nello stesso anno però, oltre agli arresti e alle repressioni iniziarono a circolare anche dei volantini originali del 1913 firmati da Mussolini, nei quali veniva celebrato il 1° Maggio e l’importanza di tale data. Questa non è certamente l’unica contraddizione evidente nella storia del regime fascista e di quella di Mussolini stesso, ma è davvero significativa, così come lo è stato, seppur tristemente, il suo tentativo di eliminare dalla storia nazionale la Festa dei Lavoratori.
La missione di quel romagnolo che era cresciuto in una famiglia di assidui lavoratori e che aveva poi intrapreso la strada del totalitarismo e della violenza, è fortunatamente fallita: ad oggi il 1° Maggio è ancora una celebrazione sentita, desiderata, alimentata. E così speriamo sia sempre.
 
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