IL TESSITORE DEL VENTO di Guido Tampieri - Il Paese dei manganelli

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Guido Tampieri - A voi la libertà di manifestare, a noi la libertà di manganellarvi. Questo, in sintesi, il pensiero dell’on.Donzelli di FdI. Che trasforma quattro bimbetti desiderosi di condividere il loro anelito di pace in una torma di barbari in marcia sulla sinagoga di Pisa e sull’ambasciata Usa a Firenze. Per profanare l’una, si deve presumere, e per assaltare l’altra. Come si conviene a dei sostenitori di Hamas. Già non aver fatto uso delle armi é indice di un severo autocontrollo delle forze dell’ordine e di uno Stato forse eccessivamente indulgente, fiaccato com’é da settant’anni di lassismo repubblicano.
«Ci sono state difficoltà operative», comunica il Viminale. Non abbattetevi, farete di più la prossima volta. La calorosa accoglienza riservata dalla destra alla brutta pagina scritta a Pisa testimonia di un sentiment repressivo in cerca di bersagli. Che verrebbe di circoscrivere a quell’area che suole definirsi, con espressione un tantino mimetica, afascista, se non fosse che deborda sul versante conservatore. Quando solo un conservatore stupido, diceva Galbraith, è davvero un reazionario.
Cosa se non una subordinazione politica e culturale induce Tajani a contrapporre quei ragazzini «figli di radical chic», ai «poliziotti che per pochi soldi difendono lo Stato»? Come se manifestare il proprio pensiero fosse un lusso. Cosa lo spinge a storpiare il messaggio di Pasolini, che a Valle Giulia prese le parti della polizia mentre già circolavano le P38 e ci scappavano i morti? E morti ce ne erano stati anche a Reggio Emilia e a Avola, quando Di Vittorio chiamava i poliziotti «figli del popolo», senza per questo apprezzarne la violenza dispiegata in quelle occasioni.
Cosa ha a che vedere tutta questa brodaglia retorica con una manifestazione pacifica di 150 studenti inermi, sorpresi, quasi storditi da una reazione abnorme, con quelle mani alzate in segno di resa a chi immaginavano amico.
Dove stava in quegli stradelli la «minaccia all’ordine pubblico», «la difesa dello Stato»? Fra bloccare e picchiare c’è una bella differenza. Di cariche della polizia se ne sono viste tante, motivatamente pesanti e ambiguamente indulgenti e guardando e riguardando le immagini di Pisa vien da chiedersi il perché di una bastonatura così brutale, quasi appassionata. Di black block in giro non se ne vedono e allora bisogna chiedersi chi o cosa abbia insinuato nella mente di quegli agenti che non avevano di fronte dei giovani cittadini da rispettare ma dei pericolosi eversori, magari dei piccoli comunisti da punire. Anche passare il semaforo col rosso è una violazione di legge, pericolosa,  eppure nessuno si sognerebbe di manganellare i rei.
Ai corsi di dottrina insegnano a distinguere i peccati mortali da quelli veniali. Nessuno di quei ragazzi andrà all’inferno. Sul destino eterno dei loro critici non c’è da giurare. Equiparare questo episodio agli idranti usati su no vax a Trieste non sta in cielo né in terra.
I protagonisti erano grandini, il rischio di diffusione di un’epidemia mortale è, questo si, una questione di ordine pubblico, l’accesso al porto era impedito e braccia rotte non ce ne sono state. Per la cronaca FdI stava dalla parte dei manifestanti e i suoi cani da guardia mediatici mostrarono i denti ai servitori dello Stato che avevano disposto lo sgombero del molo. Gli studenti, si sa, sono più fastidiosi dei contadini. Una sorta di privilegiati, come se non ci fosse, da sessant’anni, una scolarizzazione di massa che ha abbracciato tutte le classi sociali.
È dagli anni ‘80 che le loro manifestazioni non creano problemi. Sono state brave le forze dell’ordine a evitare scontri, ma anche i manifestanti a non provocarne. In Italia è quasi sempre così, a differenza di altri Paesi, a meno che non si tratti di assaltare la Cgil, che allora saltano gli schemi, anche quelli della polizia. Il cui compito è controllare che non degenerino. Di degenerati in questa occasione ci sono stati solo i commenti. Fa eccezione, come sempre, il Presidente Mattarella, che non segue le consuete vie riservate per ammonire il Ministro dell’Interno a tenere il timone dritto sulla Costituzione.
Lo fa perché vede un rischio, perché vuole che i cittadini tutti siano consapevoli che sui diritti, sul rispetto della persona non si transige, non ci possono essere cedimenti. Comunque camuffati. Scambiando vittime e carnefici. Uno scherano della Lega fa il verso al Presidente della Repubblica delirando di un fallimento delle famiglie e dei professori. Mentre è ricominciata la tiritera: difendiamo le forze dell’ordine. Da chi? Dai bimbetti? Da chi chiede che le Istituzioni agiscano e dispongano di agire sempre con criterio e umanità? Non è a questo che le leggi spingono? Non è a questo che i servitori dello Stato aspirano? Era già accaduto a Cutro che le critiche a scelte politiche sbagliate venissero deviate, facendo mostra di difenderli, verso gli apparati deputati ad applicarle.
Ieri la Marina, oggi la Polizia. Non c’è un allarme per l’ordine pubblico in Italia. Il clima di tensione è quello che crea il Governo. Mettere in relazione l’assalto di venti scalmanati a un’auto della polizia a Torino con le critiche ai fatti di Pisa e addirittura con le parole del Capo dello Stato prima che un giochino pericoloso è un crimine contro la decenza umana. La gente decente è grata alle sue forze dell’ordine e ne è ancor più fiera quando vede che svolgono le loro funzioni con correttezza. Alla Caserma Diaz non accadde. Una difesa d’ufficio serve solo a mascherare le responsabilità politiche di questa aggressiva maggioranza che più di ogni altra mal sopporta il dissenso. Non si tratta di essere in via generale e pregiudiziale dalla parte delle forze dell’ordine o dei manifestanti che sono coessenziali al buon funzionamento della società. Bisogna essere semplicemente dalla parte della ragione allorquando insorga una contraddizione nell’esercizio delle funzioni di uno o di entrambi i protagonisti. A Pisa, fatto salvo il vizio formale della omessa segnalazione, sembra evidente che la polizia abbia superato il limite. Se ci fermiamo qui, per dire che non deve più accadere, abbiamo già detto il più che si possa dire.
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