E' in sala «Solo cose belle», film sulla papa Giovanni XXIII. Ne parla il regista Kristian Gianfreda

Emilia Romagna | 13 Maggio 2019 Cultura
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ROMAGNA | E’ in sala «Solo cose belle», film sulla papa Giovanni XXIII. Ne parla il regista Kristian Gianfreda
«Sguardo leggero su temi difficili»
Parliamo di una produzione locale, letteralmente nata tra Forlì e Rimini, con budget basso e un regista alle prime armi. E però parliamo di un “film vero”. Questo è il primo grande risultato, la soddisfazione di avercela fatta. Il resto sta arrivando un po’ per volta». E’ emozionato Kristian Gianfreda, regista di Solo cose belle, il film ispirato all’esperienza umana sociale dell’associazione papa Giovanni XXIII - coinvolta direttamente nel film prodotto e distribuito da Coffee Time Film e Sunset Produzioni - che è appena uscito nelle sale italiane, dopo che in dicembre era stato proiettato - in versione non definitiva - a Rimini per il presidente Mattarella, senza contare anche una più recente proiezione non ufficiale al Ridotto del Masini a Faenza.  
Solo cose belle è la storia di Benedetta (Idamaria Recati), figlia del sindaco di un paese dell’entroterra romagnolo, e del suo incontro con una casa famiglia appena arrivata in paese, in cui vivono tante persone dal passato difficile e desiderose di riscatto. A dispetto di ogni convenzione sociale, Benedetta s’innamorerà del giovane ex carcerato Kevin (Luigi Navarra) e condurrà lo spettatore in un viaggio all’interno della struttura. Tra sospetti, lacrime, risate e sgomberi, la ragazza scoprirà la bellezza dell’accoglienza e l’importanza della solidarietà.
«Ora siamo in sala - racconta Kristian Gianfreda -, mercoledì la prima è stata in un cinema di Roma e martedì 7 maggio abbiamo proiettato il film in Senato con autorità civili, ecclesiali e del mondo del volontariato».
Che distribuzione avrà il film?
«Circola in un centinaio di sale nei grandi centri e nelle zone dove c’è interesse per il film. Può essere per la presenza di una casa famiglia della papa Giovanni XXIII (vedi il caso localissimo di Russi, nda) o per interesse manifestato nei mesi scorsi da gestori di sale, associazioni e quanto altro. In pratica abbiamo costruito una mappa per questa prima distribuzione. Poi il film continuerà a circolare in eventi speciali e fino a fine anno, rimanendo disponibile “a chiamata” per chi lo volesse proiettare».
Come sei arrivato a dirigere il film?
«E’ il mio primo film di fiction, prima facevo spot e documentari. Conosco la Papa Giovanni da molto tempo e sapevo che, per i dieci anni dalla morte di don Oreste Benzi, nacque il progetto di un film. Lo stesso don Oreste pensava che un film sarebbe stato il veicolo migliore per far conoscere l’associazione. Insomma, in qualche modo il progetto prese corpo e tre anni fa, per capirci, ne parlai a Pupi Avati. Fu lui a dirmi che, se davvero volevo realizzare quel che avevo in mente, avrei dovuto dirigerlo io; evidentemente il progetto era già personale e in fase avanzata. Per me era un’esperienza inedita su gran parte dei fronti, ma l’aiuto di un amico regista come Stefano Alleva è stato impagabile. Tutto si è basato sulla fiducia, anche i produttori associati e i finanziatori hanno creduto nell’idea e si sono fidati».
E’ un film di fiction che racconta una realtà sociale molto importante. Come si arriva a rendere accattivante in senso cinematografico queste realtà?
«Proprio facendo un film, una commedia, qualcosa che faccia ridere, oltre che riflettere. Era il nostro obiettivo e te lo dico da documentarista. So bene che con i documentari è difficilissimo arrivare oltre il recinto delle persone che sono già interessate all’argomento. Serviva un tono leggero perché alla base del film, così come nella filosofia di Oreste Benzi, c’è un concetto rivoluzionario: gli emarginati e i deboli possono essere il fondamento delle scelte più felici della società. Non sono persone da assistere o sopportare, ma indicano la direzione di una società migliore per tutti. Un concetto così non lo puoi imporre in modo pedante, serve uno sguardo leggero su temi difficili. Che era poi ciò che aveva Don Oreste»
Che reazioni hai visto nei primi spettatori?
«Vedo che escono con il sorriso. E’ quello che volevo, bisogna attraversare il divertimento per cogliere bene il senso del film. Un film pensato in primis per i più giovani, con la storia d’amore tra i due ragazzi a fare da filo conduttore della vicenda, ma vedo che anche gli spettatori adulti entrano con piacere nelle dinamiche del racconto». (f.sav.)
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