Imprenditori U40, Alfredo Fioretti (vice Cmc): «Serve maggiore coraggio nel ricambio generazionale»

Ravenna | 25 Maggio 2015 Blog Settesere
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Ricambio generazionale. Se ne sente spesso parlare, tutti sono concordi nel dire che è un valore aggiunto ed è cruciale per il futuro, ma in pochi lo applicano. Alfredo Fioretti, 40 anni, sposato, due figlie, in Cmc dal 2005, è dal 31 maggio 2014 il vice del presidente Massimo Matteucci. «Finita l’università, dove mi sono laureato in Giurisprudenza, ho iniziato un percorso comune a molti studenti di questa facoltà: il lavoro in uno studio legale. Però, all’inizio degli anni Duemila, mi sono trovato con tutte le difficoltà dei ragazzi della mia età che non avevano uno studio legale di famiglia alle spalle. Così ho iniziato a cercare sul mercato qualcosa di attinente alle mie capacità e ai miei studi. Casualmente, dopo aver fatto tante domande a imprese locali ed essendo stato contattato da alcune imprese assicurative, fui colpito dalla risposta che mi venne data dalla Cmc che conoscevo come impresa importante del territorio, ma di cui ignoravo lo spessore. Feci un colloquio e venni assunto come responsabile dell’ufficio legale».
A trent’anni ebbe subito un ruolo di responsabilità, segno di grande fiducia.
«In Cmc ci sono due uffici che svolgono il servizio legale: uno si occupa soprattutto dei lavori delle commesse acquisite in  Italia e uno, il mio, si occupa maggiormente degli aspetti societari e di governance. Cercavano questa figura e ci siamo incontrati. Mi hanno dato subito fiducia con un ruolo di responsabilità e mi sono immediatamente reso conto della grandezza di questa cooperativa. In questa impresa un legale tratta questioni complesse, in tutto il mondo, con cifre importanti fin da subito».
Fu il primo «vero» approccio con la cooperazione?
«Prima di entrare in Cmc non conoscevo molto il mondo cooperativo: era molto diverso da quello delle aule di tribunale che fino a quel momento avevo frequentato e dello studio legale dove avevo lavorato».
Che cosa l’ha colpita maggiormente?
«Il salto è stato grandissimo. Quello che mi ha colpito è la dimensione internazionale, perché ti fa allargare le vedute e fa vedere gli aspetti sotto forme diverse. Il nostro è un mercato globale e quindi le problematiche che affrontiamo in Italia, all’estero le affrontano in maniera differente e spesso anticipano aspetti normativi che da noi arrivano più tardi. Lo stesso vale in campo finanziario».
Che cos’è Cmc oggi?
«C’è chi l’ha definita una piccola multinazionale. Mi pare appropriato».
Cosa caratterizza il legame di Cmc con i suoi soci?
«Non ho dubbi: l’attaccamento. Vale per tutti, senza distinzione di ruolo. E’ la prima cosa che ho notato, visto che fin da subito mi sono relazionato con dirigenti e soci per cui, anche con vedute diverse, ho constatato che tutti pensano al bene della cooperativa. E’ un atteggiamento che si tramanda di generazione in generazione. Il rapporto umano è un altro punto di forza. Qui chiunque può andare a mangiare in mensa insieme al presidente e ai dirigenti a cui si dà del tu».
Com’è diventato socio?
«Cmc offre a tutti i suoi dipendenti, a prescindere dall’inquadramento, la possibilità di diventare soci dopo due anni di rapporto continuativo con la cooperativa. Per me è stata una naturale conseguenza di quel clima che raccontavo prima. Specie considerando il fatto che la quota associativa può essere vissuta serenamente rispetto alla propria retribuzione».
Lei racconta un lato della cooperazione che in questi tempi sembra offuscato dagli scandali.
«Non possiamo far passare gli errori di alcuni come un problema del mondo della cooperazione: non è corretto. Il mondo della cooperazione è sostanzialmente sano e questo troppe poche volte viene sottolineato».
La crisi delle cooperative edili è ormai un dato di fatto. Perché non è stata capita per tempo la lungimiranza di Cmc di andare all’estero?
«E’ un problema dovuto a fattori concatenati. Innanzitutto la crisi del settore è profonda e non ha dispiegato ancora la sua reale portata. Non è un problema di cooperative, ma di settore. Anzi, le cooperative hanno stretto i denti a lungo e per alcuni anni hanno mantenuto l’occupazione nonostante le difficoltà».
Come se ne esce?
«L’Italia ha bisogno di un piano industriale definito e credibile. Servono investimenti pubblici prolungati nel tempo, altrimenti la crisi durerà ancora a lungo. L’altro aspetto è quello dirigenziale. Le cooperative devono dotarsi di dirigenti che siano in grado di affrontare le sfide che il mercato richiede. E le imprese devono essere in grado di gestire il proprio gruppo dirigente a seconda delle esigenze: la sedimentazione delle posizioni nel lungo periodo, se non è sorretta da capacità dirigenziali, probabilmente fa perdere la visione d’insieme e di futuro, quindi non è in grado di risolvere i problemi e di affrontare le sfide».
Per questo fai parte di Legacoop Generazioni. Che cos’altro può portare?
«Il cambiamento va colto sempre. Bisogna darci fiducia, come è successo a me, seppure io abbia 40 anni e in altri Paesi non sarei più considerato giovane da tempo. Nella storia di Cmc ci sono stati molti precedenti di persone più giovani di me. Vanno inseriti in contesti dirigenziali e accompagnati in un percorso di crescita. Generazioni può essere un importante network in questa direzione ».
Cosa serve per andare in questa direzione?
«Coraggio e politiche attive per l’occupazione. Il Jobs Act? Un punto di partenza».

Christian Fossi
economia@settesere.it

Foto Massimo Fiorentini
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