ECONOMIA | La nautica da diporto guarda all'estero. Meglio la componentistica dei cantieri
La nautica da diporto ravennate guarda all'estero per sopravvivere alla crisi che ha distrutto un intero settore in pochi anni. A passarsela meglio sono i produttori di accessoristica e componentistica, mentre in alto mare, per usare una metafora marinara, si trovano invece i pochi cantieri rimasti.
Opportunità cinesi. Tra destino ed occasione, dopo vari abboccamenti del passato, intanto una delegazione cinese ha iniziato a fare «shopping» nel ravennate. «Era una delegazione nutrita che è giunta in Italia al termine di un percorso di costruzione di relazioni imprenditoriali e istituzionali che è durato un anno - spiega Giovanni Casadei Monti, direttore dell'Eurosportello della Camera di Commercio di Ravenna -. Considerando la composizione della delegazione (i rappresentanti dell'associazione costruttori nautici, importatori o distributori di accessori e componenti per la nautica, e i rappresentanti di due enti fieristici), l'obiettivo era quello di favorire nuovi abboccamenti commerciali. Il risultato è stato positivo, soprattutto per chi produce qua componenti e accessori».
Rischi cinesi. Spesso, i costruttori del dragone «sono interessati più all'acquisizione di cantieri navali italiani che alle barche che lì vengono costruite, trasferendo poi marchio e produzione in Cina e portando con sé il socio che vende per insegnare il mestiere alle maestranze locali - analizza Angelo Carnevali, presidente del Consorzio Export Nautico di Ravenna -. Siamo andati in Cina un paio d'anni fa e lo scorso anno eravamo a Shangai, ma entrare in quel mercato è una cosa lunga e non così semplice».
Le difficoltà del settore. La situazione non è sicuramente delle più felici: «Noto che tutti gli associati al consorzio hanno gli stessi problemi e oggi la parola d'ordine è sopravvivere - continua Carnevali -. A stare meglio sono i componentisti e gli accessoristi che riescono a vendere sui mercati esteri. Chi lavora principalmente con l'Italia è in grande difficoltà, dove il poco mercato che c'è si muove soprattutto sull'usato».
Crisi e pignoramenti, i prezzi sono crollati. Molte barche da diporto, nell'ultimo periodo, sono state messe all'asta a causa della crisi e dei conseguenti pignoramenti. «Tra sequestri e cantieri in concordato, la richiesta è molto inferiore a quella dell'offerta - spiega il presidente del Consorzio Export Nautico -. In più il Fisco terrorizza chi si avvicina alla barca e il risultato è che nessuno compra più imbarcazioni. Da alcune stime che abbiamo fatto, il giro d'affari si è ridotto dell'80% rispetto a pochi anni fa: sono spariti cantieri e fornitori... ricostruire sarà difficile».
La naturale propensione alle esportazioni. L'unica speranza è dunque data dai mercati esteri. «In Europa e America si trova qualche opportunità - continua Carnevali -, ma la crisi c'è anche lì, seppure in maniera molto diversa rispetto all'Italia. Portando l'esempio personale, ho perso il 90% del fatturato dall'inizio della crisi: abbiamo bloccato completamente la produzione e oggi facciamo assistenza, manutenzione e vendita dell'usato. Dalle 30 barche dai 13 ai 22 metri l'anno con un fatturato di 20 milioni, siamo passati alle zero dell'anno scorso. Oggi in cantiere siamo 4 dipendenti, contro i 60 dipendenti che avevo a Ravenna nel 2009 a cui si aggiungevano i 50 dipendenti a Fano in una controllata. Per questo oggi sto guardando a delle collaborazioni con costruttori di Miami e ho avviato altri contatti in Albania, dove, grazie all'apertura di un ufficio commerciale, abbiamo venduto una barca per il 2013 e abbiamo alcune trattative in corso».