L’artista modiglianese Chiara Lecca espone a Milano per il premio Cairo

Faenza | 21 Novembre 2016 Cultura
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Alice Lancioli
Chiara Lecca è una giovane artista che vive e lavora a Modigliana e che di recente è stata candidata tra i 20 finalisti del prestigioso Premio Cairo, riconoscimento che la pone tra i protagonisti dell’arte contemporanea italiana. Nata nel 1977, cresce nell’azienda agricola di famiglia, a contatto con la natura e il mondo animale, che la influenzerà molto. Sceglie quindi un percorso di studi che le permette di esprimere la sua vena artistica e si diploma nel 2005 all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Dalle sue opere traspaiono la tecnica e la precisione artistica acquisita negli anni e l’emozione vissuta dal contatto con la natura, che rivive nelle sue creazioni ricche di inserti animali.
Com’è nata la passione per un'arte così particolare e legata al mondo animale?
«Ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna ed è lì che ho iniziato a sperimentale materiali di vario genere all’interno di sculture ed installazioni e tra questi anche i materiali organici come le pelli o scarti di origine animale. Semplicemente ho iniziato a guardare attorno a me, al mio mondo agreste e a riflette su di esso. Mi sono così resa conto che l’animale è un mezzo molto efficace per prendere in esame la società in cui viviamo. Con il mio lavoro cerco di indagare la “disabitudine” a considerare noi stessi animali: esso è presente incessantemente e per questo tendiamo a non vederlo, ma pensiamo a ciò che mangiamo e beviamo, a ciò che indossiamo, a ciò che usiamo per arredare le nostre case, agli animali da compagnia… Credo che l’arte abbia il compito di mostrarci gli aspetti scomodi, pungenti, i nodi meramente accantonati del nostro vivere quotidiano. Quando riesce in questo sprigiona tutta la sua potenza, la sua forza terapica. Non è forse vero che l’artista è colui in grado di addentrarsi nelle tensioni collettive, di svelare alle nostre coscienze difese, tranquille e abituate ad un metodo, visioni diverse, sommerse ma ugualmente presenti…».
I primi riconoscimenti?
«Ricordo con piacere una bella mostra personale al Circolo degli Artisti di Faenza, nel 2003, quando ancora frequentavo l’Accademia di Belle Arti, poi nel 2005 ho partecipato alla Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo che si teneva a Napoli, a Castel Sant’Elmo. Fu un’esperienza straordinaria di incontro e scambio con artisti provenienti da tutto il bacino del mediterraneo. Altre tappe fondamentali sono state la personale nel 2008 alla galleria Fumagalli di Bergamo, che ora è a Milano, e l’incontro con Annamaria Maggi, una collaborazione che dura tutt’ora».
Sei tra i finalisti del premio Cairo, quali emozioni esplodono in seguito a un riconoscimento così importante? Che opera hai presentato?
«L’invito ha contribuito a rendere magico un anno, il 2016, molto intenso e ricco di possibilità per il mio lavoro. Nel 2015 ho esposto al Naturkundemuseum “Ottoneum” di Kassel e quella mostra mi ha aperto le porte dell’Europa, infatti da lì sono nate diverse collaborazioni con musei in Belgio, Germania e Svizzera. Sulla scia di queste mostre il direttore della rivista Arte ha potuto vedere le mie opere e ne è rimasto positivamente colpito, così ha deciso di includermi nelle “scuderia” del 17° premio Cairo, per cui puoi immaginare quanto mi ha reso felice l’invito! Quest’anno il concorso ha una location d’eccezione, Palazzo Reale a Milano. La mia opera si chiama Dark Still Life. E’ composta da un tavolo retrò sovrastato da un grande vaso di fiori, ricco e sfarzoso. In questa installazione scarti di origine animale diventano elementi irriconoscibili, rassicuranti come possono essere i fiori recisi: solo osservando i fiori con attenzione si rivela una dimensione d’ambiguità etica ed estetica, la coscienza viene destabilizzata, creando così un cortocircuito tra bellezza, morte ed eros. La lettura dell’opera non è immediata, piuttosto crea uno stato di tensione e si apre a letture diverse».
C'è un'opera alla quale sei particolarmente legata o che più ti rappresenta?
«Direi di no, le amo tutte e ancor più quelle che ancora devo ancora realizzare! Posso però dire che le serie dei Fake Marbles e degli Still Life mi hanno rappresentata in numerose mostre».
Quali consigli ti senti di dare ai giovanissimi che vogliono intraprendere la carriera artistica?
«Citando Steve Jobs “Siate affamati, siate folli!”. Una massima da adottare in tutti i campi compresa l’arte! Inoltre di perseguire con tenacia un proprio modus operandi, seguire l’istinto molto più che la ragione e, fondamentale, lavorare sodo!».
Dove potremmo ammirare le tue prossime opere?
«Sto lavorando a una mostra che si terrà a Bologna a gennaio 2017. In corso invece ho una personale alla Fondazione Ghisla di Locarno, in Svizzera. Questo spazio, un grande cubo rosso, è stato pensato e creato da Martine e Pierino Ghisla, persone squisite e amanti smisurati dell’arte, per accogliere la loro collezione e alcune mostre temporanee. Ho una ventina di lavori esposti tra cui la Rabbits Corporation del 2005, la Joy Machine del 2008 e produzioni recenti come gli Still Life e i Fake Marbles. La mostra, accompagnata da un libro bilingue italiano-inglese, con testi di Annamaria Maggi e Marinella Paderni, rimarrà aperta fino all’8 gennaio 2017».

Nella foto: Chiara Lecca “Dark Still Life”, 2016, tassidermia, pvc, vetro, metallo, legno. Courtesy Galleria Fumagalli, Milano. Foto Olimpia Lalli
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