Violenza, nuovo patto del Comune di Ravenna. Ma per Linea Rosa non basta

Romagna | 14 Aprile 2019 Cronaca
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Passi in avanti contro la violenza sulle donne. Il Comune di Ravenna ha infatti da poco aderito al Patto per la parità e contro la violenza di genere proposto dall’Anci nazionale, che parte dalla convinzione che sia necessario applicare la Convenzione di Istanbul per impegnarsi a destinare fondi specifici al tema e per scambiare buone pratiche con altre Amministrazioni comunali. Un atto che Alessandra Bagnara, presidente di Linea Rosa, vede di buon occhio, pur non ritenendo sufficiente che siano le delibere di intenti a poter cambiare le cose.
Bagnara, che significato ha un atto del genere?
«Senz’altro simbolico e lungi da me non dare valore ai simboli. Quando parliamo, per esempio, dell’importanza di cambiare il linguaggio, lo facciamo perché crediamo nella necessità di delineare, di dare un senso anche attraverso operazioni simboliche. Anche i protocolli possono essere pietre miliari, se poi seguono azioni concrete».
Che cosa manca, da questo punto di vista, a Ravenna?
«Non mi voglio lamentare, abbiamo la fortuna di gestire da 27 anni in maniera continuativa il Centro antiviolenza. Ma c’è un sistema, al di fuori, che funziona poco. Per fare un lavoro serio servono risorse e tempo. Il tempo è un fattore sottovalutato, se si guarda al nostro lavoro da esterni. Perché quando parliamo di quante donne accogliamo, pochi si soffermano a pensare quante ore noi dedichiamo a ognuna. Perché bisogna accoglierle, accompagnarle, poi scrivere una lettera, affrontare un cambiamento, occuparsi delle loro paure, dei loro ripensamenti, seguirle magari in tribunale, gestire la questione dei figli e del lavoro. Insomma, un mondo per ogni donna. Qualche giorno fa due operatrici hanno fatto sostegno a una delle nostre assistite durante un’udienza, era una situazione difficile e sono rimaste con lei, alla fine, una giornata intera. Questo lavoro si fa così, dedicandosi».
Dove manca, in particolar modo, il tempo?
«Manca, per esempio, nell’opportunità di formarsi. Qualche anno fa abbiamo siglato con la Prefettura un protocollo nel quale sono rientrati un po’ tutti: servizi sociali, Asl, forze dell’ordine, tribunale. Ma non è detto che il giorno in cui c’è la formazione, il personale di uno di questi ambiti possa partecipare. Così come non è detto che l’infermiere che si trova davanti a una donna vittima di violenza, tra le influenze e gli infortuni, abbia il tempo che serve a gestire bene il caso. Per non parlare di quanto anche gli operatori andrebbero sostenuti, se hanno a che fare con il tema della violenza. Noi di Linea Rosa abbiamo da 25 anni la supervisione delle nostre operatrici. E siamo, ricordiamolo, un’associazione di volontariato».
Come riuscite a portare avanti la prevenzione nelle scuole?
«Siamo arrivate a dire dei no. Non perché non vogliamo ma perché alcuni insegnanti ci chiedono un’ora in occasione del 25 novembre, per poi finirla lì. Non ha senso. Il lavoro sui più piccoli e sui più giovani va iniziato presto e va tenuto in vita, portato avanti. L’ideale sarebbe anche monitorare se, negli anni, avviene un cambiamento culturale nelle mentalità. Ma l’importanza di tutto questo non viene colta, a scuola c’è fretta di andare avanti con il programma, di impartire nozioni. Nel 2009, quando ero presidente di Dire nazionale, con l’allora ministra Mara Carfagna inserimmo nel piano nazionale la richiesta di introdurre nelle scuole la materia “Politiche e cultura di genere”. Sono passati dieci anni e quella proposta è caduta nel dimenticatoio».
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