«Romagna è Sangiovese», esce la guida nazionale dell’Ais, il vino rosso simbolo di questa terra ottiene 24 eccellenze su 34

Romagna | 24 Novembre 2023 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - «Romagna e Sangiovese» cantava a suo tempo Raul Casadei. Oggi questo motto, ormai patrimonio immateriale della cultura popolare all’ombra del Passatore, lo si può tranquillamente trasformare in «Romagna è Sangiovese». Almeno così sembra se si guardano le guide vitivinicole nazionali e regionali che escono durante l’anno. Il vino rosso per eccellenza di queste terre, infatti, conquista sempre più riconoscimenti e premi. Un evidente simbolo di un Rinascimento, ormai iniziato qualche anno fa che ha punti cardinali, spaziali e coltural-culturali ben precisi. Dalle stilistiche fini e balsamiche delle versioni modiglianesi si arriva alle potenze del frutto e presenze tanniche di Predappio per virare verso florealità e fruttosità più croccanti, come quelle riscontrabili nei territori appenninici e pedecollinari prevalentemente composti da terreni argillosi e sabbiosi, fino a raggiungere eleganze e propensioni all’invecchiamento come quelli per esempio più vicine alla via Emilia (Marzeno, Oriolo e Brisighella tra le altre). L’ultima guida che ne attesta questa «superiorità» di premio, tra i motivi c’è anche quello che afferma Giovanni Solaroli che è dovuto alla dimensione quantitativa di questa versione vitivinicola (vedi box sotto), è quella redatta dai sommelier Ais. In «Vitae 2024», infatti, la Romagna ottiene 34 eccellenze. Si tratta di voti, espressi in viti, che vede il massimo punteggio rappresentato da quattro tralci. Un risultato complessivo e totale che non è molto distante dai cugini emiliani visto che la pubblicazione ne attesta, da Piacenza a Bologna, quest’anno un numero di poco superiore, precisamente 37. Qui con un predominio assoluto da parte dei Lambrusco. Sempre di più simbolo elegante e brioso della cultura occidentale dell’Emilia-Romagna in calice.

SUA MAESTA’ «IL SANGIO»
Come detto sopra la guida Ais attesta quasi una quarantina di «Quattro viti». Di queste il Romagna Sangiovese Doc ne ottiene la stragrande maggioranza arrivando a quota ventiquattro. Un ulteriore passo in avanti nella definizione di stilistiche del sorso fortemente identitarie arriva dal fatto che di questi ventiquattro alfieri del «Sangio» ben diciassette riportano in etichetta la rivendicazione della sottozona dal quale provengono. E’, seppur ancora all’interno di un processo che deve aumentare e potenziarsi, un risultato molto importante e da non sottovalutare. La mano del vigneron, infatti, è ovviamente fondamentale ma ormai come è opinione comune e condivisa «il vino si fa in vigna». E la vigna affonda le radici in terreni che seppur si chiamano Romagna, hanno caratteristiche geologiche, morfologie, composizioni anche completamente differenti. Non solo da Imola a Rimini, ma all’interno anche degli stessi appezzamenti aziendali. Far emergere, nelle bottiglie, questa differenziazione, questa variazione sul tema, i vignaioli ci tengono sempre di più, quindi, rivendicano la zona di origine. Una punta di diamante, che è anche la punta della piramide qualitativa dell’offerta vinicola, che sta comquistando sempre di più interesse e consenso.

LA REGINA ALBANA
Non c’è re senza regina. Ed ecco quindi che anche il Romagna Albana Docg trova consensi e riconoscimenti. Quest’anno i sommelier ne hanno, infatti, premiate cinque differenti versioni. Dai punteggi ottenuti appare evidente come la zona che in questo periodo sta colpendo di più i palati della critica in termini di versioni e tipologie di vinificazione sia Imola. Qui infatti si ottengono tre dei cinque riconoscimenti ottenuti dall’Albana per il 2024. Gli altri provengono dal territorio di Oriolo e di Castrocaro. Da qui una perplessità ci sorge spontanea: Bertinoro, da sempre culla, storica e stilistica, di questo vitigno e vino, che fine ha fatto?

E I VASSALLI
Infine non dimentichiamoci anche gli altri vitigni che caratterizzano la bio-eno-diversità vitivinicola che caratterizza la Romagna. Non a caso i sommelier, tra i 34 testimonial eccellenti del sorso di Romagna, ne inseriscono cinque. Si tratta per esempio del Centesimino, vitigno assolutamente autoctono, ma vinificato in anfora, si tratta del bianco per eccellenza del riminese, terroir in cui non è coltivata l’Albana, che è la Rebola (Pignoletto). A questi si aggiungono due grandi testimonial dell’altro grande fratello in grappolo di queste terre, il Trebbiano, fino ad arrivare al potente e austero vino simbolo della pianura, il Burson (Uva Longanesi). Un’attestazione veramente micro rispetto ai «grandi numeri» dei fratelli maggiori, ma che fa bene.


La visione di Giovanni Solaroli, sommelier, referente Vitae per anni e giornalista


Esce la guida nazionale dell’Ais, la Romagna si porta a casa 34 eccellenze, rappresentate dalle 4 viti. Una fotografia che dice che il vino Romagnolo stia andando nella direzione giusta. E’ così?
«Di certo la qualità generale dei nostri vini migliora ogni giorno, grazie soprattutto alle nuove generazioni che amano assaggiare e confrontarsi tra di loro. E il confronto finisce inevitabilmente per arricchirci. Se poi questa sia la direzione giusta sarà il mercato a decretarlo».
In questa edizione la supremazia è del Sangiovese, soprattutto rivendicato per sottozona e per tipologia riserva. E’ la strada giusta?
«E’ abbastanza normale che vi siano più Sangiovese premiati vista l’enorme differenza quantitativa. Non ho sottomano i numeri esatti ma parliamo grossomodo di oltre 10 milioni di bottiglie di Sangiovese contro nemmeno un milione di bianchi. Purtroppo solo il 4% dei Sangiovese rivendica la sottozona. Il dato confortante è che le rivendicazioni sono in aumento segno che i produttori cercano di stabilire nei vini un collegamento più preciso tra vitigno e zono di produzione. Questo, con il tempo, aiuterà i consumatori a scegliere meglio».
Tra le sedici sottozone ne emergono sei, con Predappio e Modigliana a svettare su tutte. Cosa dovrebbe cambiare per livellare l’andamento?
«Se lo sapessi avrei in mano una carta per arricchirmi. Posso solo riscontrare che i gusti dei consumatori stanno cambiando e questo finisce per influenzare anche lo stile di chi produce i vini che, del resto, sono fatti per essere venduti. I vini grossi e potenti piacciono di meno anche perché sono di meno le occasioni per berli. Generalmente si mangia in modo più leggero; ci bombardano di messaggi dove veniamo invitati a consumar meno carne e questo ha il suo effetto. E poi un vino più snello e fresco porta a finire la bottiglia più volentieri».
Nel 2023/2024, in epoca social e multimediale, le guide hanno ancora un valore e una valenza?
«Forse non sono la persona giusta a cui chiedere; sono nato con la carta e la amo visceralmente. Certo le guide cartacee hanno perso parecchio del loro impatto iniziale ma restano uno strumento valido. Nel tempo puoi seguire l’evoluzione delle aziende e dei vini mentre nelle app tutto ciò che riguarda il passato viene bruciato in nome del presente. Le guide cartacee le puoi consultare e sfogliare ma da casa. In viaggio o in giro nessuno le tiene più nel bagagliaio dell’auto come facevamo un tempo. In ogni caso direi che oggi tutte le guide cartacee hanno anche una versione digitale. In ogni caso se ne stampano molte di meno con l’indubbio vantaggio di sprecare poca carta. Le statistiche ci dicono che oggi la maggior parte delle ricerche sono svolte su internet tramite le app o i siti specializzati di e-commerce che forniscono tutte ciò che serve per farsi una prima idea. Le aziende dovrebbero tenere conto che più si usano le versioni digitali, linkabili e geolocalizzate e più servono siti fruibili e aggiornati, cosa che non riscontro, purtroppo».
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