Modigliana, l'associazione Stella dell'Appennino riconosciuta come «Vignaiolo dell'anno» dal Corsera

Riccardo Isola - Una Stella dell’Appennino riconosciuta come tra i 100 Vignaioli dell’Anno dal critico e giornalista Luciano Ferrero. Abbiamo incontrato Giorgio Melandri tra i principali artefici di questa novità corale del mondo del vino per farci raccontare impressioni, commenti e direttrici future.
Oggi Stella dell’Appennino al di là dei singoli e delle singole interpretazioni sta parlando una lingua corale, riconosciuta e riconoscibile. Qual è la forza del racconto?
«La forza del racconto è la condivisione dei temi che sono stati individuati in ormai dieci anni di lavoro insieme. Diciamo che Modigliana è l’unico territorio del vino con un racconto codificato e riconosciuto da tutti i produttori».
Terroir, capacità interpretativa, autenticità. Cosa per voi deve essere il Modigliana in sorso oggi?
«L’idea comune è che i vini debbano essere territoriali in primis e artigianali in secundis. Chi beve un Modigliana deve riconoscere lo stile Modigliana: sapidità, eleganza, speziature, freschezza. Per essere riconosciuti bisogna essere riconoscibili e questo è il segreto».
Una storia antica che si fa sorso contemporaneo, cosa caratterizza appieno e rappresenta al meglio la semantica di Stella nel calice?
«Sono cambiate nei secoli le aspettative che abbiamo nei confronti del vino: da bevanda quotidiana che forniva calorie e sicurezza (l’acqua era pericolosa qualche secolo fa!), a prodotto simbolo di cultura e storia. Chi apre una bottiglia oggi cerca qualità, territorialità, piacevolezza. Le cantine di Stella hanno lavorato su questi temi e se oggi il sorso di Modigliana è contemporaneo lo si deve ad un lavoro di confronto, sottrazione, rispetto dell’origine, comprensione di caratteristiche che hanno avuto bisogno di un vero e proprio processo di emancipazione dei produttori».
La critica nazionale sta riconoscendo Modigliana come avanguardia e concreta rappresentazione di una strada per il Sangiovese romagnolo del XXI secolo. Cosa significano per voi produttori questi riconoscimenti?
«Significano poter rivendicare una grande affidabilità complessiva. Aprirsi al confronto è sempre un valore positivo che permette di crescere e comunicare. Non sono i riconoscimenti in assoluto il valore, ma la possibilità di farsi conoscere (e riconoscere) e di portare la narrazione ad una comunità importante, quella del vino».
Aver raggiunto la segnalazione come espressione dei 100 vignaioli dell’anno come entità collettiva significa in primis essere riusciti a far passare un messaggio chiaro di unità, nelle differenze stilistiche, d’intenti. Quali sfide vi lancia questa certificazione?
«Luciano Ferraro, anima della guida del Corriere della Sera, è un giornalista di razza e ha capito che il vino deve essere anche un racconto di vita, ovvero essere portatore di valori universali. I premi speciali che trovate in questa edizione sono un bellissimo viaggio in Italia, il Paese speciale che amiamo e che attraverso il vino è in grado di raccontarsi. La sfida è non perdere di vista questo punto, il vino non si racconta per tecnicismi o con il metodo, si racconta con le storie di chi lo produce. Una volta scrissi che nella valle Ibola il bosco sbuffa profumi che si ritrovano nel vino, ecco credo che questo possa essere un buon esempio di una narrazione inclusiva, di un racconto per tutti».
Stella oggi e Stella del domani. Quali priorità, miglioramenti e nuove sfide vi attendono?
«La sfida è sfondare il tetto delle 100.000 bottiglie che rivendicano la sottozona Modigliana. Già oggi con il 3% delle vigne di sangiovese romagnole produciamo il 25% delle bottiglie che rivendicano le sottozone, che sono 16 in totale. È un numero che esprime bene la nostra motivazione. Con più bottiglie potremo affrontare mercati nuovi, in Italia e all’estero».
Stili e rappresentazioni al sorso di un terroir raccontano una identità. Quali sono i canoni identificativi che volete portare all’attenzione in modo prioritario?
«Il Modigliana è un Sangiovese di montagna, prodotto rispettando gli elementi che definiscono l’ambiente di questo piccolo paese d’Appennino: altitudine, bosco, suoli poveri figli di marne e arenarie. Dunque eleganza e un repertorio di profumi originale. I valori sono tutti nel rispetto di questo ambiente e del suo diventare stile».
L’unione fa la forza?
«La definizione di Terroir parte dall’idea di comunità e di condivisione. Lo stile, come la lingua, per esistere deve essere condiviso e deve poter evolvere. La forza è proprio in questo».
Caratteristiche, protagonisti e filosofia di questo figlio liquido d’altura
Suoli sciolti e sabbiosi, scheletro millenario di marne e arenarie, il tutto disseminato lungo un micro areale montuoso, segnato da tre valli: Ibola, Tramazzo e Acereta. Tre differenti habitat che conferiscono grammatiche di sorso ai Sangiovese e non solo caratteristiche. Nell’Ibola, valle più corta e stretta, da sempre ribattezzata come «valfredda», i vini che ne escono si caratterizzano per speziature e agrume, con austerità e profondità nei profumi. Quella del Tramazzo rappresenta senza ombra di dubbio la gentilezza in cui toni balsamici, minerali con sfaccettature di spezie e fiori, definiscono il bouquet aromatico. Infine c’è l’Acerreta, la valle del Bosco, da cui nascono che parlano di materia e terra, con un frutto presente e bocche sapide e fresche. A Modigliana esiste un mix perfetto per la creazione di cosiddetti fine wines. Una triplice alleanza fatta di suolo, bosco e altimetria. Qui il vigneron accompagna, amplificandone, il racconto del territorio liquido. Eleganza e finezza fatta sorso. Nel 2017 i produttori del territorio hanno così deciso di fare uno scatto narrativo in avanti. Nasce da qui il progetto «Modigliana, stella dell’Appennino». Un vocabolario condiviso per un lessico e un racconto nuovo che vuole mettere al centro le specificità territoriali invece che i singoli marchi. E’ uno dei primi esempi di cambio di paradigma, che il mondo vitivinicolo ha abbracciato in modo corale, sul racconto basato soprattutto sul Sangiovese. Tutto questo racchiuso in un simbolo, un ideogramma, ideato dal grafico faentino Enrico Stradaioli, a forma di stella cometa formata da due elementi rappresentativi dell’identità di terroir. Una coda con tre linee in rappresentanza delle altrettante valli che ne definiscono il territorio e la stella. Oggi l’associazione è composta da Casetta dei Frati, Fondo San Giuseppe, Lu.Va., Menta e Rosmarino, Mutiliana, Il Pratello, Il Teatro, Torre San Martino, Villa Papiano e Pian di Stantino.