Lugo, quasi mille presentazioni dal 2005 ad oggi per il Caffè Letterario dell’Ala d’Oro giunto alla 20esima edizione

Romagna | 06 Febbraio 2024 Cultura
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Federico Savini
«Quella in corso quest’anno è la ventesima edizione del Caffè Letterario, anche se tecnicamente il ventennale lo festeggeremo nel 2025, con iniziative specifiche. E poi speriamo anche di arrivare alle mille presentazioni». Claudio Nostri fa le dovute precisazioni, ma resta il fatto che con venti edizioni sulle spalle il Caffè Letterario dell’Ala d’Oro, a Lugo, è la rassegna di incontri con gli autori (e quant’altro) più importante per numeri e attività della nostra provincia, ancorché ci siano rassegne più longeve, come quella del Centro Relazioni Culturali di Ravenna ideata a suo tempo da Walter della Monica. L’occasione è, insomma, propizia per riportare indietro le lancette al 2005 e farsi raccontare, da Claudio Nostri, la genesi e il segreto del successo e della solidità della rassegna letteraria lughese.
«Credo che la passione e il divertimento siano il semplicissimo segreto che sta dietro al Caffè Letterario - dice Nostri, titolare dell’Ala d’Oro e tra i fondatori della rassegna -. Negli anni questo spirito non è mai cambiato e con lui anche il rigore che poniamo su alcuni aspetti, come la dimensione assolutamente volontaristica del Caffè e gli accordi con gli autori, che vengono ospitati e remunerati delle spese di viaggio, ma senza ulteriori gettoni. Questo può creare a volte problemi con la case editrici ma per noi è un baluardo in qualche misura anche etica».
Come cominciaste?
«Nel gennaio del 2005 invitammo Paolo Crepet e la cosa andò subito bene. Ovviamente non era una rassegna realmente strutturata ma facemmo altri incontri e già dall’autunno di quell’anno prendemmo a organizzare con gli incontri da ottobre. Oggi arriviamo fino a giugno. All’inizio le cose dovevano ingranare ma siamo arrivati a ospitare una media di 50-60 autori l’anno».
All’Ala d’Oro avete peraltro l’autorevole precedente del salotto letterario di Cornelia Rossi Martinetti, forse la donna più importante della storia di Lugo…
«Nacque proprio in questo palazzo, che poi era il Palazzo dei Conti Rossi, nel 1781. La sua era una famiglia filo-napoleonica e lei sposò l’ingegner Martinetti, trasferendosi a Bologna, in una casa in via San Vitale dove mise in piedi un vero salotto letterario. Ebbe come ospiti Stendhal, Byron, Foscolo, Leopardi e Canova, che la chiamava “La mia Venere bruna”. La sua casa divenne il centro della cultura bolognese e, per qualche anno, probabilmente anche della cultura italiana».
Al netto dei precedenti ingombranti, però, è stata la passione per la lettura a far nascere il Caffè Letterario?
«Sicuramente sì, insieme al fatto di esserci ritrovati come gruppo di amici che aveva le competenze e le possibilità per far nascere questo progetto. Il libraio Massimo Berdondini ovviamente aveva e ha una conoscenza del mondo editoriale enorme, Patrizia Randi e Marzo Sangiorgi hanno sempre curato il calendario e le presentazioni proprio dal punto di vista letterario, Carmine Della Corte ci ha sempre aiutati a livello grafico e io potevo mettere l’Ala d’Oro, dove ospitare gli autori e gli stessi incontri. All’inizio eravamo noi a rivolgerci alle case editrici ma adesso capita spesso il contrario. Sono gli stessi autori a chiedere di tornare».
Naturalmente poter contare su un hotel aiuta molto logisticamente. Ma l’idea di fare dell’Ala d’oro il centro anche fisico, sebbene non esclusivo, della rassegna è stata chiara da subito?
«Sì, assolutamente. Mi sento di dire che il Caffè Letterario non esisterebbe senza l’Ala d’Oro, sono praticamente inseparabili anche se è vero che abbiamo organizzato tante iniziative altrove, in spazi pubblici di Lugo come la Rocca e il Pavaglione, negli spazi di Entelechia e altro ancora».
Quante presentazioni avete fatto finora?
«945, quindi l’anno prossimo contiamo di arrivare a mille. E questo numero non tiene conto di mostre, serate conviviali e maratone di lettura».
Proprio questo «corollario» di eventi collaterali vi caratterizza. Quanto è importante allargare il campo delle tipologie degli eventi?
«Lo è soprattutto per non annoiarsi e non annoiare il pubblico. E poi ci permette di costruire delle serate da zero, penso alle letture in Rocca della Divina Commedia e poi alle maratone in collaborazione con Entelechia che hanno affrontato Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso e poi i latini e i greci, senza dimenticare un recente “scontro” tra Manzoni e Leopardi. E vale ancor di più per le serate conviviali, spesso musicali o poetiche, ma allargabili anche al cinema e all’arte, fino a veri e proprio giochi a quiz legati a tematiche sempre diverse. Diciamo che ci siamo sempre divertiti».
L’iniziativa più recente forse è l’approdo a Lugo di ScrittuRa Festival.
«Sì, che resta un grande progetto di Matteo Cavezzali per il quale noi diamo sicuramente una bella mano per l’ambito lughese, a livello logistico ma anche con una sostanziale condivisione della direzione artistica».
Non credo di sbagliare se dico che nel vostro cartellone la presenza di autori di romanzi non è maggioritaria, o se lo è comunque non lo è di molto. Da cosa dipende?
«Nel complesso è così e dipende dal fatto che i romanzi, a meno che non si parli di autori davvero famosi, di norma attirano solo chi li ha già letti o poco più. Un saggio invece aiuta a sviscera temi di discussione ampi, dalla storia alla politica, dalla scienza alla filosofia».
Il pubblico è cambiato negli anni?
«In vent’anni per forza di cose ma si può parlare di uno zoccolo duro del Caffè Letterario, benché ovviamente anche fra i più tenaci ci sia stato un ricambio. Devo dire che coinvolgere un pubblico giovane, al di sotto di una certa età, è sempre più difficile. Ci abbiamo anche provato, invitando autori mirati a un certo target, ma l’evoluzione del modo di fruire la cultura credo marchi una differenza molto grande con le nuove generazioni».
Le presentazioni indimenticabili?
«Margherita Hack di sicuro, un personaggio eccezionale, ma anche un vero signore come Philippe Daverio. Meno noti al pubblico italiano ma indimenticabili sono stati il russo Boris Pahor, che quando vene aveva 97 anni ed è morto a 108, e Shlomo Venezia, uno dei pochissimi sopravvissuti ad Auschwitz, che condivise con noi la sua esperienza in una serata intensissima».
E un autore che non siete mai riusciti ad avere?
«Se devo dirne solo uno Piergiorgio Odifreddi, non ci siamo mai riusciti e vorremmo tanto averlo con noi a Lugo».
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