Il Lupo nell'antropologia e nella natura, secondo Eraldo Baldini e Marco Galaverni

Romagna | 11 Aprile 2021 Cultura
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Sandro Bassi
Giustamente, questo libro espone punti di vista diversi. Un conto sono gli aspetti antropologici, storici e di folklore tradizionale (l’argomento ha sempre toccato anche l’immaginario collettivo) e un conto quelli scientifici, più attinenti agli ultimi anni.
Argomento è il lupo, affascinante ma anche storico nemico dell’uomo. Dell’uomo-pastore sicuramente, anche oggi, ma un tempo dell’uomo in assoluto, perché il lupo è stato nei secoli un nostro formidabile «competitore», sottraendoci risorse alimentari (principalmente pecore), ma anche un nostro predatore, perlomeno nei confronti dei nostri cuccioli, i bambini, che in un’ottica naturale scevra da moralismi farebbero parte della dieta del lupo. Scevra da moralismi perché - come dice in premessa a questo volume Massimiliano Costa, uno che di lupi ne ha visti dato che è stato direttore del parco della Vena del Gesso - il lupo non conosce bene e male, che sono concetti umani, non ha etica, non ha codici, non ha misericordia ma neppure cattiveria perché è lupo e basta; e tale deve rimanere.
Eraldo Baldini, principale autore di questo Uomini e lupi in Romagna e dintorni: realtà e mito, attualità e storia (199 pagg., con stampe d’epoca e un’appendice fotografica a colori, Il Ponte Vecchio, 16 euro), esamina il millenario cammino in cui il lupo ci ha accompagnato dalla sua domesticazione fino ad oggi. Dal lupo derivano tutte le razze di cani oggi presenti al mondo e risultanti da una serie infinita di incroci, ibridazioni, selezioni, a seconda del fabbisogno umano e quindi del «compito» assegnato al cane. Anzi, il lupo è stato proprio il primo animale ad esser addomesticato, forse in Medio Oriente 12 mila anni fa, e probabilmente come primo cacciatore di topi, prima del gatto.
Ma incrociando storia e cronaca, realtà ed immagine, Baldini prende in considerazione la figura del lupo nella letteratura e nella favolistica dall’antichità al Medioevo, aiutandosi con le storie di santi, sante e tutti i mediatori fra uomo e Dio cui era concesso il potere di ammansire la fiera «cattiva» per eccellenza. Con Sant’Ellero prima ancora che con San Francesco, si inaugura un florilegio di storie diverse fra loro ma accomunate dal pericolo del lupo terribile e mangiauomini, che viene ridotto a più miti consigli, talvolta punito e costretto a un contrappasso - il lupo costretto a svolgere i compiti dell’asino che ha sbranato - al fine di risarcire una società terrorizzata dalle scorribande lupine. Scorribande che in effetti avvenivano, ai danni degli animali domestici o dell’uomo stesso, complici le selve che arrivavano alle porte delle città, l’abbandono dell’antica rete viaria e delle infrastrutture, complice il clima più severo e insomma la dimensione selvaggia in cui si trovavano pastori e contadini medievali ma anche viaggiatori, pellegrini e mercanti.
Con l’avvento delle armi da fuoco - ma soprattutto con la loro capillare diffusione anche a livello rurale -, col regresso delle selve e la progressiva civilizzazione, con l’adozione di strumenti di difesa delle greggi, la vita del lupo si fa sempre più dura, fino alla sua estinzione da gran parte della penisola: sulle Alpi già nell’Ottocento, in gran parte dell’Appennino nella prima metà del Novecento. Il minimo demografico del lupo viene toccato negli anni Sessanta e Settanta, con pochi nuclei superstiti nell’Appennino centro-meridionale per un totale di individui non superiore al centinaio. Il caso della Romagna - e qui a Baldini subentra il coautore Marco Galaverni, ricercatore dell’Università di Bologna e di Ispra - appare illuminante perché il lupo è scomparso alle quote basse e medie, mantenendo però piccoli nuclei inosservati nei recessi più alti delle Foreste Casentinesi, dell’Alto Savio, del Fumaiolo e del Falterona. Il lupo è un animale estremamente mobile, capace di spostamenti giornalieri anche di 40 km, e il vicino «serbatoio» dei Monti Sibillini non si è mai svuotato. Dagli anni ’80 il lupo si è ripreso gran parte del suo territorio, complice lo spopolamento e l’accordata protezione legislativa. A metà decennio il lupo era arrivato all’Appennino ligure, avviando la «riconquista» delle Alpi dopo un secolo. Oggi non solo è ricomparso sull’intero arco alpino, ma ha avviato - i casi recenti di Argenta e prima ancora del Po fra Parma e Cremona - un’«espansione» in pianura padana, forse anche grazie all’abbondanza di quella nuova preda costituita dalla nutria.
Ora, non vanno sottaciuti i nuovi e vecchi problemi di convivenza che così si ripresentano. Ci sono gli indennizzi, è vero, ma non sempre adeguati e accetti dagli allevatori che non vogliono assistenza caritatevole: vogliono che il lupo non mangi i loro animali! Questo è possibile - e lo spiega Fiorenzo Rossetti dell’Ente di gestione per i Parchi e la Biodiversità in Romagna - se il territorio offre a sufficienza prede selvatiche, tipicamente caprioli e piccoli di cinghiale, altrimenti è ovvio che il lupo si rivolga a prede domestiche. Ci sono le tecniche di prevenzione, è vero, ma non sempre tutto fila liscio.
Le conclusioni sono sintetizzate da Galaverni che, senza moralismi né romanticherie, sottolinea la valenza del lupo quale animale selvatico, risorsa per tutto il pianeta e quindi anche per noi, e traccia «i passi verso una coesistenza possibile».
«Mi sono molto divertito a scrivere questo libro - commenta Eraldo Baldini - non solo perché è stata la “scusa” per fare ricerche in tanti archivi, non solo perché il lupo, pur apparentemente diverso dagli altri protagonisti dei miei libri, è da sempre un componente dell’ambiente e della storia dell’uomo, ma anche e soprattutto perché volevo fare un libro lontano da qualsiasi pregiudizio ideologico: negli ultimi tempi il lupo è stato riabilitato e questo va bene, ma non è che il lupo sia “mite ed umile di cuore”; il lupo è un carnivoro, un nostro predatore, ha raggiunto le pinete di Ravenna perché attratto dai daini, che sono una sua preda come un tempo eravamo noi. Il lupo è lupo e l’uomo è uomo: le criticità nel rapporto ci sono sempre state e negarlo non serve, anzi, credo che se raggiungeremo una pace con questo nostro amico-nemico sarà perché serenamente impariamo a conoscere la sua storia, non perché gli attribuiamo un’improbabile bontà».
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