Housing first, nel Ravennate gli stranieri riscattano più spesso l'affitto

Romagna | 30 Gennaio 2021 Mappamondo
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Barbara Gnisci
Casa come dignità, casa come identità, casa come possibilità di un futuro migliore. Essere in grado di pagarsi un affitto in molti casi equivale a sentirsi liberi, perché presuppone anche un’indipendenza lavorativa. Questo è il traguardo conquistato da alcuni utenti di «Housing First», un progetto nato nel 2016 che ha finora ospitato una settantina di persone tra Ravenna, la Bassa Romagna e la Romagna faentina: «Nel 2020 gli appartamenti che gestiamo sono passati da 20 a 16 e questo calo è molto positivo - spiega  Dora Casalino, responsabile del progetto - perché significa che quelle quattro case sono state riscattate dagli affittuari e che adesso sono loro a interfacciarsi direttamente con i proprietari senza aver più bisogno del sostegno del progetto». Uno a Ravenna, uno a Russi, un altro a Bagnacavallo e l’ultimo a Lugo gli appartamenti riscattati, e in due casi da sei affittuari di origine straniera: «Abbiamo verificato in questi anni  continua Casalino - che le persone straniere hanno un maggiore possibilità di successo nel riscattare la casa in cui risiedono, perché per loro prendere in mano completamente l’affitto e quindi il contratto è sinonimo di autonomia, obiettivo fondamentale del viaggio migratorio che li ha portati a lasciare il loro paese di origine e ad arrivare fino a qui. Alcuni italiani, specialmente quelli che hanno dei trascorsi ardui e complicati nel mondo della dipendenza e della povertà, sono più abituati all’assistenzialismo e manifestano, quindi, maggiori difficoltà e resistenze ad emanciparsi. Inoltre, gli stranieri sono tendenzialmente più giovani e con una diversa prospettiva del futuro. È importante sottolineare che questo progetto di abitare innovativo si pone fuori dalle dinamiche dell’accoglienza e ha l’obiettivo di restituire possibilità di scelta sui propri percorsi di vita, a partire dall’ abitare autonomo». Senegal e Gambia i Paesi di provenienza di chi ha preso in mano il contratto di casa: «Credo che sia stato fondamentale il lavoro di conoscenza e di mediazione realizzato dall’équipe con i proprietari degli appartamenti, che dopo circa due anni dall’inizio del progetto hanno imparato a fidarsi e a conoscere gli inquilini. La forza del progetto risiede nella costruzione di reti sociali». Sono proprio alcune agenzie a presentare il progetto ai proprietari: «La cooperativa inizialmente fa da garante e interviene, per esempio, per le manutenzioni straordinarie, ma si pone come un supporto, non si sostituisce mai all’affittuario che si deve attivare se si presentano delle problematiche o delle criticità da risolvere». «Housing First» propone un «welfare mix» che si pone contro la ghettizzazione: «Gli appartamenti sono diffusi su tutto il territorio, alcuni anche in centro città. Si tratta di un modo per sperimentare la coabitazione e per creare una vera integrazione. Alcuni condomini si arrabbiano, vogliono mandarci via quando sanno che si tratta di un appartamento “sociale”, perché dicono che la nostra presenza toglie valore allo stabile, ma questa è una visione vecchia, retrograda. Gli stranieri partecipano alla vita del quartiere, creano buone relazioni, è questo che il progetto ci sta raccontando. Stiamo vivendo un contesto urbano che cambia costantemente, perché sta cambiando il mondo, ma il diritto all’abitare rimane un diritto universale per ogni individuo».

«IL BONIFICO, CHE ORGOGLIO»
«Sono molto orgoglioso di quanto ho fatto finora e di essere io adesso a mandare il bonifico per pagare l’affitto al proprietario e anche di pagare le altre utenze». Ibra Giagne, 29enne senegalese (nella foto), è uno dei due affittuari dell’appartamento di Ravenna: «Sono diventato anche un punto di riferimento per alcuni miei connazionali che non sono riusciti ancora a diventare autonomi e indipendenti sia per quanto riguarda la casa che per il lavoro». Ibra, sbarcato a Lampedusa nel 2013, è stato accolto in un progetto di accoglienza nel ravennate prima di entrare a far parte di Housing First: «Mi sono sempre impegnato a partecipare all’affitto anche quando lavoravo solo d’estate e ora che lavoro in un vivaio posso invece. occuparmene interamente». Ibra condivide l’appartamento con Mohammed: «Lui è del Gambia, ormai viviamo insieme da qualche anno e siamo diventati amici. Spesso cuciniamo e mangiamo insieme. Mi trovo benissimo anche con i vicini di casa che hanno imparato a conoscerci e con il proprietario che è sempre molto disponibile». Ibra vorrebbe ricongiungersi con la madre e farla arrivare in Italia: «Avendo un permesso come rifugiato politico, nel 2018 siamo riusciti a incontrarci in Gambia. È stato bellissimo rivederla e le ho detto che quando qui sarà tutto a posto, quando avrò un lavoro ancora più stabile, potrà trasferirsi a casa mia, dove ora c’è Mohammed, che nel frattempo è diventato uno di famiglia. Quando mia madre arriverà dovrò pensare a una soluzione per tutti. Spero che questo momento arrivi al più presto».

«SPERO DIVENTI PRATICA COMUNE»
«Credo che dovrebbe essere ritenuta una procedura normale che una persona straniera possa pagarsi un affitto, oppure che riesca a riscattarlo come nel caso dell’appartamento della mia famiglia. Spero che questa diventi una pratica sempre più comune, perché vorrebbe dire che ci sono i presupposti per far sì che una persona proveniente da un altro paese possa essere aiutata a smussare quelle disuguaglianze culturali ed economiche che trova al suo arrivo». A parlare è Francesco Matteucci, uno dei co-proprietari dell’appartamento di «Housing First», uno di quelli che è stato riscattato a Ravenna da due ragazzi stranieri qualche mese fa: «È stata un’agenzia a propormi di entrare a far parte del Progetto e mi è sembrato un ottimo modello di innovazione sociale». Francesco, 45enne, vive tra Ravenna e Bruxelles, dove lavora in Commissione Europea: «Mi hanno sempre insegnato, e con mia moglie lo spieghiamo ai miei figli, che sono le persone che contano, non il colore della loro pelle o da dove provengono, ma come si comportano, come si relazionano». All’interno del progetto è stato affittato un appartamento in una corte interna: «Inizialmente i ragazzi erano tre, poi uno è dovuto tornare nella sua patria di origine. Mi ha fatto molto piacere quando Mohammed e Ibra sono riusciti a riscattare l’affitto. Lavorano entrambi, sono puntuali nei pagamenti e si prendono cura della casa come se fosse la loro. Sono la dimostrazione che tutto ciò si può fare. Anche quando si entra in un’azienda inizialmente si viene accompagnati in un percorso di inserimento, al termine del quale, si procede autonomamente. Credo che «Housing First» sia un efficace intervento di mediazione culturale e una possibilità concreta di integrazione e che sia importante comunicare i suoi risultati per aumentare la consapevolezza della comunità verso i processi di innovazione sociale».
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