Piccolo, profumato, goloso: il pinolo, in dialetto romagnolo pignôl, è protagonista di un’interessante sagra ospitata ogni anno a Fosso Ghiaia tra fine aprile e inizio maggio. Un tempo in questi giorni migliaia e migliaia di pigne, raccolte in autunno, venivano distese sulle aie per essere battute con le mazze al fine di aprirle e lasciarne uscire i prelibati frutti tra freschi profumi di resina. Se oggi le pinete storiche rimaste nel Ravennate sono solo due, quelle di San Vitale e di Classe per un totale di circa 2.030 ettari a cui si aggiungono altri 600 ettari di pineta demaniale piantati tra fine Ottocento e inizio Novecento lungo la costa, in passato la loro superficie era molto più estesa. I documenti storici datano l’origine delle pinete di pino domestico a Ravenna nel XII secolo. All’epoca i pinoli non erano l’unico tesoro della pineta: dai pini venivano estratti la resina, il fumo di resina e la pece greca usata dagli stampatori per produrre l’inchiostro. Il pinolo, tuttavia, era il frutto più pregiato della pineta in virtù delle sue proprietà salutistiche: considerato un vero elisir per polmoni, reni e vescica, nel Seicento se ne faceva largo uso alimentare e gastronomico. Per comprendere la sua importanza basti sapere che esisteva una rigida regolamentazione sui tempi di accesso alle pinete e di raccolta del legno e dei frutti spontanei. Nel XVI e XVII secolo, quando i boschi appartenevano alle abbazie ravennati, il popolo aveva solo il diritto di pascolo, oltre a quello di caccia e pesca; lo sfruttamento economico vero e proprio delle pinete era appannaggio esclusivo dei monaci. I pinoli romagnoli erano considerati già a quei tempi i migliori d’Italia ed erano al centro di un fiorente commercio. L’estensione delle pinete ravennati a fine Settecento era di circa 7.000 ettari. Successivamente, a partire dalla soppressione degli ordini religiosi seguita all Rivoluzione francese e con l’avanzare di superfici agricole meno dispendiose, c’è stata una riduzione continua della loro superficie.
Ricco di proteine e impreziosito dalle brezze marine, il pinolo è un prodotto che si conserva molto bene e può essere gustato durante tutto l’anno. In cucina i suoi utilizzi sono davvero infiniti. Se già nel Seicento veniva utilizzato per la preparazione di pasticci, polpette e minestre, in primavera il pinolo è un ottimo ingrediente per accompagnare le erbe di campo in golose insalate. Tra le ricette più note a base di questo frutto prelibato c’è la torta con i pinoli di cui Pellegrino Artusi svela la ricetta nel suo libro «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» (ricetta n. 582). «Una torta che alcuni pasticceri vendono a ruba - scrive l’Artusi - e che chi non è pratico di queste cose penserà che l’abbia inventata un dottore della Sorbona». Nella ricetta i pinoli sono l’ingrediente essenziale che arricchisce un impasto a base di semolino, latte, uova, burro e zucchero. Il risultato è una torta soffice in cui i pinoli regalano un tocco di rinfrescante aromaticità. Un dessert ideale per un pranzo di primavera che trova un connubio enologico perfetto nei profumi suadenti del Famoso. Il vino suggerito è lo Strafamoso della Cantina Randi, dove uve stramature di Famoso danno vita a un vino dorato dai profumi fruttati caramellati e dal sapore dolce e fresco.